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Badr university
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In un contesto multiculturale, dove le identità individuali e collettive si frammentano in esperienze sempre più complesse, il concetto di "casa" va oltre una definizione unica. Mentre molti studi si focalizzano sulle dinamiche sociali delle comunità migranti, questo saggio approfondisce il conflitto identitario vissuto interiormente dai singoli, sollevando interrogativi profondi su appartenenza e identità. Attraverso l’analisi dei romanzi La mia casa è dove sono (2010) e Rhoda (2014) di Igiaba Scego, autrice italo-somala di seconda generazione, si esplora come l’identità si formi tramite una negoziazione tra aspetti interni ed esterni, processo accentuato dalla condizione di migrante.
Negli ultimi decenni, l’Italia è diventata un paese di immigrazione. Negli anni ’70, i primi migranti provenivano dalle ex-colonie italiane, come Somalia, Eritrea, Etiopia e Libia. Negli anni ’80, sono arrivati tanti filippini, senegalesi, marocchini ed egiziani. A partire dagli anni ’90, sono arrivati emigranti da tutto il mondo: Europa dell’Est, Sud America, Cina e altri paesi dell’Asia. La crisi economica di molti paesi, come i paesi dei Balcani (Moldavia e Ucraina), e le guerre civili in posti come ex-Jugoslavia, Somalia, Siria, Libia e Africa centrale, hanno spinto milioni di persone a cercare un’altra vita in Italia, sperando in maggiore stabilità e sicurezza. Geograficamente, l’Italia è un punto strategico che può anche essere un passaggio verso l’Europa per molti migranti[1].
Collegato a questo fenomeno, si sviluppa la letteratura migrante, che secondo Taddeo rappresenta un insieme vario di testi e autori emersi nella letteratura italiana contemporanea. Questi scritti cercano di comunicare esperienze legate alla migrazione, come il viaggio, lo spaesamento, la perdita di punti di riferimento, lo scontro e l’incontro tra culture, e le sfide dell’adattarsi a un nuovo ambiente[2]. Tuttavia, in questo contesto, si tende spesso a usare in modo eccessivo il concetto di identità, che viene spesso rappresentata come qualcosa di rigido e immutabile.
Secondo Malizia, «L’identità è un fenomeno che nasce dalla dialettica fra individuo e società[3]». Dal punto di vista sociologico, come mostra la teoria dello studioso americano Cooley[4], l’identità è costituita dall’ insieme delle reazioni psichiche dell’individuo insieme ai giudizi che altri formulano su di lui; ciò che il personaggio vede nello specchio non è mai del tutto identico a quello che appare agli altri; si tratta quindi del processo di identificazione come reciprocità[5]. Oggi, grazie alla globalizzazione, il modo di costruire l’identità è profondamente cambiato: l’individuo si confronta con una società più vasta e variegata, e ciò rende l’identità un processo in continuo mutamento, senza confini definiti e con caratteristiche variabili. Questo evidenzia che l’identità non è statica, ma sempre in evoluzione[6].
Questo contributo sostiene che il percorso di scoperta dell’altro attraverso la scrittura nasce dalla convinzione che nessuna cultura sia completamente autentica o immutabile, e che l’identità sia sempre variabile. Inoltre, si ritiene che la letteratura possa aiutarci a cambiare prospettiva, incoraggiandoci a vedere le cose dal punto di vista di altre persone. Grazie a questo processo, la letteratura favorisce lo sviluppo delle capacità critiche, stimolando l’immaginazione e l’empatia. Per esprimere ciò con le parole di Todorov: «Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità d’interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente»[7].
Il mio obiettivo principale è esplorare il conflitto legato all’identità femminile che si manifesta nelle donne di seconda generazione migranti, analizzando questo tema all’interno delle opere narrative di Igiaba Scego.
Esaminare La mia casa è dove sono significa immergersi in una narrazione che traccia l’evoluzione del percorso interiore dell’autrice, in cui le tappe principali sono legate ai luoghi di due radici culturali e linguistiche diverse: quella italiana, rappresentata dalla sua nascita a Roma nel 1974, e quella somala, che costituisce un elemento fondamentale della sua identità. Pur essendo italiano e somala, si percepisce che l’autrice non si sente completamente appartenente a nessuna delle due culture. Fin dall’inizio del romanzo, Scego si pone delle domande profonde sulla sua identità, interrogandosi attraverso una serie di domande incisive di introspezione: «Sono cosa? Sono chi? Sono nera e italiana attraverso. Ma sono anche somala e nera. Allora sono Afro-italiana? Italo-africana? Seconda generazione? Incerta generazione?[8] ».
All’inizio, Igiaba Scego si sente come una bambina smarrita tra la sua città natale, Roma, e quella della famiglia, Mogadiscio. Non riesce a identificarsi completamente con gli italiani, nonostante abbia le caratteristiche di uno di loro. La vicinanza di Scego con le persone del luogo non le impedisce di percepirsi sempre come diversa.
Lì mi dicevano: «Voi non parlate, fate i versi delle scimmie. Non si capisce nulla. Siete strani. Siete come i gorilla». All’epoca ero piccola e i gorilla, che sono animali splendidi, mi facevano un po’ paura per via della loro stazza[9].
Igiaba Scego si percepisce come italiana, come tutti gli italiani, avendo frequentato scuole italiane e ricevendo un’educazione culturale prevalentemente italiana. Tuttavia, anche con questa integrazione, la scrittrice non nega completamente la sua identità di migrante; al contrario, riconosce di portare dentro di sé un sentimento di estraneità e di esoticità. Questa sensazione di non piena appartenenza contribuisce a farla sentire come una persona di frontiera, quasi esiliata, in uno stato di isolamento rispetto alla cultura dominante.
La protagnista narra di aver sempre vissuto in due realtà distinte: una, tipicamente somala, all’interno della sua famiglia e delle mura domestiche, e un’altra, più esterna, caratterizzata da esperienze di discriminazione e intolleranza. Durante l’infanzia, arrivò a provare odio per la sua terra d’origine, nel tentativo di ridurre al minimo ogni differenza tra sé e i propri coetanei italiani: «non ero ancora una africana orgogliosa della sua pelle nere[10]», una volta vista la Somalia con i propri occhi, il suo punto di vista cambia completamente. Si rende conto che quella terra possiede elementi unici e le persone vivono in simbiosi con la natura.
Di conseguenza, il rapporto della scrittrice con la sua terra d’origine è caratterizzato da confusione. La protagonista aveva poche conoscenze sulla Somalia, acquisite solo dalle rare conversazioni con sua madre. Era convinta che fosse un paese sconosciuto agli esseri umani: «Io sono stata poco in Somalia. Ci passavo le estati e poi sono rimasta lì per un anno e mezzo. Frequentavo la scuola italiana del consolato. All’inizio la Somalia non me la immaginavo proprio. Per me era come Marte o qualche pianeta sconosciuto agli umani[11]».
Pertanto, l'identità personale è profondamente legata ai valori di appartenenza a un particolare contesto sociale e culturale. La perdita di tali valori può determinare una crisi di identità, accomunata da un forte senso di dubbio e incertezza riguardo al proprio senso di sé. La costruzione dell’identità si fonda infatti sulla relazione dinamica tra l’individuo e l’ambiente sociale di riferimento; pertanto, l’assenza di un legame stabile con la cultura di appartenenza può determinare un’instabilità identitaria e una crisi esistenziale, evidenziando l’importanza di un senso di appartenenza stabile e riconosciuto.
Non solo la protagonista esprime questa sensazione di estraneità, ma anche la madre di Scego condivide la stessa percezione di sentirsi diversa o di essere fuori dal contesto sociale. La madre ha affrontato un dolore intenso quando i suoi genitori credevano che fosse necessario che lei si sottoponesse a un'operazione di mutilazione per diventare una donna completa. Di conseguenza, ha scelto di non ripetere una simile atrocità con sua figlia, chiarendole che si trattava di una tradizione crudele e non imposta dalla religione: «La volontà di mia madre, la sua esperienza di dolore mi hanno permesso di essere una donna completa, con tutti gli organi al posto giusto. Ecco perché mi sento una mappa di mamma. Lei mi ha disegnato intera, senza omissioni né tagli[12]». Dopo diversi anni, il governo somalo ha coinvolto nel programma anti-fibulazione persone colte e preparate che si sono impegnate per combattere questa pratica. L’opinione pubblica somala ha cambiato idea sulle mutilazioni, considerandole finalmente sbagliate.
Da un’altra parte, Igiaba, tornata a Roma, ritrova la mappa di Mogadiscio disegnata dal fratello e il cugino e si appresta a completarla con il suo vissuto. Igiaba realizza che la mappa che ha davanti è la mappa delle sue radici, ma che quello che manca a quella mappa, affinche ́ sia completamente sua, è l’altra parte di sé ́: la sua vita in Italia, le sue esperienze fondamentali di crescita, il suo percorso di vita a Roma:
Devi completare la mappa. Manchi tu lì dentro.» Io non riuscii a reagire[13]. […] Ma rivendicavo quella mappa con forza, come rivendicherò il mio ultimo giorno di vita. Era mia come loro, quella Mogadiscio perduta. Era mia, mia, mia[14]. […] Sulla mia mappa segno una collana di cuori. Per tutte quelle che stanno prendendo la parola nonostante mille difficoltà. Per mia madre che l’ha saputa prendere quando è stato necessario. E per la mia scrittura di oggi che molto deve a quelle voci di coraggio[15].
La mappa secondo Scego rappresenta il percorso dell'identità tra due radici, due culture e una varietà di lingue. Si tratta di una mappa duplice che unisce in un solo gesto la città della memoria e dell'epos familiare (Mogadiscio) e quella delle esperienze personali (Roma), la ex colonia e lo spirito nomadico e orale della Somalia con le architetture stratificate della Città Eterna. Sostenendo questo punto di vista attraverso l’intervista pubblicata da Daniele Comberiati nel volume La quarta sponda (2009), Igiaba introduce il racconto ‘‘Il disegno’’ che costituira` il nucleo essenziale di La mia casa è dove sono.
In questo momento sto lavorando molto su questa idea di mappa della citta`: io la ricordo come una citta` bellissima, ma penso che la memoria a volte porti a ricordare solo le cose piu` belle, soprattutto per citta` come Mogadiscio, che oggi non esistono più`. Mogadiscio è una città che è morta e quando una citta` muore non ci sono piu` i monu- menti, le strade che si ricordavano prima. Ora si chiama Mogadiscio ma è qualcosa di completamente diverso: io non voglio più tornarci, preferisco ricordarla com’era prima[16].
La mappa riflette la formazione della donna protagonista attraverso una serie di luoghi amati a Roma. La scrittrice crea una mappa personale della città che abita: una versione ibrida di Roma e Mogadiscio per mostrare come i personaggi arrivano all’accettazione della propria variegata identità. Scego ha voluto mappare la sua città, Roma, come un luogo del cuore. La costruzione della sua identità avviene attraverso l’esperienza dei luoghi fisici che diventano luoghi dell’interiorità. Il teorico del cinema Giuliano Bruno ha menzionato nel suo libro che c’è un rapporto tra la cartografia e la scrittura:
Scrivere, come cartografia, è una forma di “trasporto”. Scrivere per me è sempre stata una forma di cartografia, e questo “mappare”, come la cartografia stessa, ha a che fare con la sua origine etimologica: grapho. Grapho è scrivere, disegnare, rappresentare. La geografia, la topografia e la cinematografia sono tutte arti “garfiche” dello spazio. Sono forme di écriture ossessionate dai luoghi, da un luogo. Il loro terreno comune è tracciare una mappa, disegnando graffiti in una stanza (tutta per sé)[17].
Il doppio legame di appartenenza e identità verso Roma e Mogadiscio è stato il punto di partenza per la sua scrittura. Scego crea un testo che riflette un epos collettivo e un passato coloniale e postcoloniale, elementi che l'Italia tende a dimenticare, mentre la Somalia rivendica con determinazione attraverso le parole dei suoi scrittori e delle sue scrittrici[18]. La scrittrice vuole evidenziare la negazione dei fatti, le favole dei colonizzatori italiani. La scrittrice ha deciso di raccontare storie diverse alle nuove generazioni nate nella diaspora ma anche a un pubblico italiano, per documentare le storie della Somalia nomade, della colonizzazione raccontata dai somali, della Somalia indipendente sotto il regime di Siad Barre e infine della Somalia di oggi, in preda alla guerra civile. Scego documenta il patrimonio di oralità e di testimonianza raccolte nella diaspora somala: “Mancava poco a quel 1 luglio 1960 che avrebbe reso la Somalia terra libera e indipendente. […] Quella sera papà era insieme ad alcuni colleghi in missione politica per conto del governo che avrebbe tenuto le redini del paese. La Somalia non era ancora indipendente e loro ufficialmente erano dei signori nessuno, politici di uno stato che ancora non esisteva. Almeno ufficialmente”[19].
La seconda opera Rhoda racconta la storia di una giovane ragazza somala con una forte crisi di identità e piena di dolore, e della sua famiglia emigrata in Italia. L’opera mostra la differenza delle esperienze nel nuovo paese tra i familiari di prima generazione e le protagoniste di seconda generazione. Il romanzo descrive la storia di tre donne costrette a lasciare Mogadiscio negli anni ‘90 a causa della guerra civile. Le due sorelle, Rhoda e Aisha, simboleggiano i due atteggiamenti che i migranti della seconda generazione possono avere nei confronti del paese che li ospita. Mentre Aisha, la sorella più piccola, cerca in tutti i modi di integrarsi in Italia affrontando varie difficoltà, Rhoda prova odio e disgusto nei confronti del paese di accoglienza. Il suo rifiuto di sentirsi parte di una società e una cultura che non sono le sue rendono il suo soggiorno molto arduo, portandola ad uno stato di chiusura ed isolamento. Anche se il romanzo è suddiviso in cinque parti in cui si alternano le voci dei diversi narratori Aisha, Pino, Barni, Faduma e Rhoda, la maggior parte dei pensieri girano attorno a Rhoda, infatti tutti i personaggi raccontano il legame che hanno con lei Purtroppo Rhoda finisce per prostituirsi e viene contagiata dall’HIV (human immuno-deficiency virus).
La terza donna è la zia delle ragazze, la cui presenza consente di mostrare il confronto tra la prima generazione e la seconda. Oltre alla zia Barni, la prima generazione di migranti è rappresentata anche da Faduma. Le due donne sono amiche di lunga data: si sono incontrate a Roma, per caso, e da allora non si sono più separate. Faduma sostiene la sua amica nella crescita delle sue due nipoti, Aisha e Rhoda, per le quali diventa la seconda madre. Il romanzo non mostra solo la durezza della personalità di Barni, ma anche la sua chiusura interiore. Barni è invecchiata in Italia e le difficoltà che l’avevano fatta soffrire tanto l’hanno resa una persona chiusa e dura:
Barni odiava le lacrime, perché lei stessa era incapace di piangere, di sciogliersi. Aveva inculcato quella sua regola ferrea alle nipoti, quella sua durezza, quel suo essere ipocrita. Lei, Barni, non riusciva a guardare nella sua anima con sincerità e inconsapevolmente voleva delle compagne in quel suo spaesamento. […] Ah, come avrebbe voluto essere una zia meno ipocrita[20].
La sua chiusura l’ha resa ipocrita, non sincera con sé stessa e con gli altri. Barni porta nel suo cuore l’odio verso i gaal[21]che era maturato durante il suo lavoro con gli anziani italiani. La nipote maggiore Rhoda è dura come la zia, mentre Aisha, quella piccola, è diversa. Forse la zia Barni è così rigida perché ha sempre dovuto combattere tanto per ottenere qualcosa nella vita, e avrebbe desiderato avere una condizione più facile, forse essere uomo:
Barni lo aveva sempre saputo in cuor suo: avrebbe preferito essere un maschio. I maschi per Barni erano essere fortunati, ottusi certo, ma decisamente fortunati. Se la passavano sempre meglio delle donne in qualsiasi parte del mondo. Non erano costretti come lei e le sue sorelle a portare avanti la propria sessualità come un giogo malefico. Erano liberi loro. Le donne invece erano solo una cosa da coprire con mille burqa o da scoprire con mille pretesi. Nuda o coperta faceva lo stesso dopotutto, nuda o coperta la donna non era ancora libera. A Barni sarebbe piaciuto essere un maschio perché finalmente sarebbe stata libera[22].
Qui il paragone con il genere maschile mette in rilievo i sentimenti di insoddisfazione e di frustrazione della donna. Anche Scego vuole marcare una questione specifica con questa affermazione. Si può dire che la scrittrice sceglie i personaggi femminili come protagonisti dei suoi romanzi al fine di far identificare il lettore con la situazione della donna immigrata nei paesi ospitanti. Il romanzo di Scego mostra anche che l’asprezza di Barni era frutto anche di una personalità insicura e tormentata. Il romanzo racconta il processo che porta Barni a rifiutare sé stessa, fino a nascondersi dietro una maschera. Si tratta di un’identità che cambia e si trasforma con il tempo e con le circostanze.
Barni ha affrontato il rifiuto da parte degli italiani a causa della sua incapacità di comunicare nella loro lingua. nonostante avesse imparato l’italiano a Mogadiscio da bambina, nonostante si fosse dimostrata una delle alunne più eccellenti. Con il tempo il sentimento del rifiuto da parte della società si è insinuato nella sua anima, per questo motivo Barni ha cominciato a credersi incapace di parlare correttamente: «Dov’era finito quel suo italiano così ricercato? Lo aveva rinnegato, semplicemente. A furia di sentirsi dire: «Voi negri non sapete l’italiano!», Barni aveva finito per crederci»[23]. Possiamo concludere che questa personalità di Barni non era la sua, ma la personalità che gli altri volevano cucirle addosso. Barni si era trasformata nell’immagine che gli altri volevano di lei. Una specie di identità attributiva, che le era stata conferita dagli altri. Questo significa che Barni ha dimenticato sé stessa e si vede con gli occhi degli atri: il caos interiore è conseguenza del rapporto con gli altri e delle difficoltà affrontate nel paese d’arrivo.
Aisha e Rhoda sono i personaggi in questo romanzo che fanno parte della seconda generazione di migranti. Loro, contrariamente alla zia Barni, sperimentano il paese di accoglienza in modo molto diverso. Il percorso del romanzo ruota attorno a Rhoda come ho dichiarato prima perché Rhoda narra la sua storia da morta e altri protagonisti raccontano il legame con lei e l’influenza della sua morte sulla loro vita. Ad Aisha, ad esempio, manca la sorella e niente può riempire questo vuoto. Il romanzo continua descrivendo il modo in cui Aisha vede sé stessa. La sua identità personale è combattuta tra la sicurezza di voler appartenere al paese in cui vive e l’insicurezza che probabilmente è stata causata dalla sorella. L’assenza della sorella l’ha cambiata e influenzata; sente il bisogno di riempire il vuoto interiore che l'ha accompagnata per molto tempo. Guardandosi allo specchio, Aisha cerca di imitare i gesti della sorella perché così era solita fare Rhoda e così avrebbe fatto anche lei. Ripetendo i gesti della sorella, Aisha sperava di farla tornare in vita[24]. La sua identità ha assunto delle caratteristiche del tutto contraddittorie che l’hanno resa insicura, proprio come sua sorella. Aisha vuole essere esattamente come lei, perché l’imitazione dei gesti di Rhoda davanti lo specchio riduce il dolore e la mancanza della sua morte.
Per quanto riguarda l’identità culturale di Aisha, si può notare una differenza rispetto agli altri due personaggi. Aisha è più distaccata dal suo popolo di origine. Anche se ha conosciuto le tradizioni dei somali, non le condivide del tutto. Questo è evidenziato nel romanzo quando Aisha descrive gli atteggiamenti dei propri parenti: «Un altro motivo per cui Aisha odiava le telefonate dalla madrepatria era per gli annunci di morte[25]». Comportamenti e abitudini del genere la infastidiscono molto, e la fanno sentire distante dai suoi stessi parenti. Anche alle tradizioni di famiglia, lei non partecipa. Barni, insieme alla sua amica Faduma e a sua nipote Rhoda, ogni tanto si siede nel salotto su grossi cuscini rossi ed insieme si passano la qad[26], una droga molto leggera che provoca una leggera ebbrezza, «Aisha non partecipava mai a quei loro incontri rituali, non si ritrovava. Di solito si chiudeva in camera a studiare o a sentire la musica che le piaceva»[27]. Tutto perché Aisha si è trasferita in Italia da piccola; perciò, la cultura somala non le appartiene come agli altri membri della sua famiglia. La sua identità ibrida è un insieme di abitudini e tradizioni di due paesi diversi; essa porta con sé un forte desiderio di integrazione e di accettazione da parte del paese di accoglienza.
L’identità di Rhoda, la sorella maggiore, si dimostra essere molto più complessa, completamente legata al territorio di origine. Il distacco dal paese di origine ha provocato in lei un atteggiamento instabile. Gli altri personaggi nel romanzo non sono riusciti a comprenderla. I suoi atteggiamenti mostrano tante sofferenze nell’inconscio della sua personalità. Dai suoi sentimenti controversi si evince il disordine interiore ed esteriore del migrante nel paese d’accoglienza. La sofferenza che Rhoda ha affrontato in Italia l’ha resa una persona strana per sé stessa nonostante in tutta la narrazione dia l’impressione di essere una ragazza forte e sicura di sé. Dentro di lei si è spezzata. Rhoda non riesce a essere sé stessa e soprattutto a capire chi fosse e cosa la rendano tanto sofferente. Vive indossando mille maschere con le persone che la circondavano.
Nessuno mi permetteva (o forse ero io a non permettermi) di essere Rhoda Ismail, semplicemente Rhoda Ismail, una ragazza come tante, non speciale, non unica, non straordinaria. Ognuno mi voleva a immagine e somiglianza di qualcosa che di fatto non potevo essere io. Anche le persone che mi volevano bene non sfuggivano a questa logica perversa. Tutti volevano un pezzettino di me. Era estenuante. Ero, a seconda dei casi, la studentessa modello, la sorella perfetta, l’amica fedele, la nipote irreprensibile, la schiava devota[28].
Scego, tramite la costruzione di questo personaggio, ha mostrato tutta la difficoltà dei migranti di seconda generazione. Il romanzo rivela il caos interiore della personalità tramite i diversi lati mostrati da Rhoda. Nonostante Pino, il ragazzo a lei più fedele veda come una bellezza attraente e pari ad un angelo, lei non ricambia il suo affetto. Sebbene sappia che Rhoda si prostituisce, Pino riesce a vedere la purezza di lei che la sofferenza ha distorto. Nello stesso momento scopriamo che Rhoda si innamora di Gianna, una giovane donna che ha un negozio di tè. Si sono conosciute a Londra e da quel momento hanno iniziato a passare molto tempo insieme, eppure qualcosa è cambiato nella protagonista: "In poco tempo cancellai la mia identità, non guardavo più nemmeno le partite di calcio che adoravo, perché Gianna considerava i calciatori dei bonzi arricchiti”. Rhoda ha cambiato il rapporto di amicizia in un rapporto lesbico: «Odiavo quella parola. Io non ero così. Il mio amore era puro mi dicevo. Io non amo le donne, dicevo a me stessa, io amo solo lei. Il sesso non c'entra. E mi rincuoravo per un instante[29]».
Con questa riflessione Rhoda razionalizza la proiezione affettiva che ha compiuto su Gianna, nel senso che ha riversato sulla sua amica il suo desiderio di affetto, ovvero la sua carica psichica libidica parzialmente insoddisfatta.
D’altronde, è un processo, quello della proiezione dei sentimenti, che non solo la protagonista, ma anche altri personaggi compiono nel corso del romanzo. Delle volte ciò avviene nella parte conscia della loro psiche, mentre altre volte ciò avviene nella parte più nascosta della loro personalità, ovvero nell’inconscio. In realtà, secondo Freud, tutti i rapporti emotivi di simpatia, amicizia, fiducia, e simili in origine sono legati alla sessualità e in seguito si sono evoluti da desideri sessuali, attraverso l'attenuazione della loro finalità sessuale, in diverse forme di rapporti. Secondo Freud la psiche può essere suddivisa in cosciente e incosciente, il fatto che alcune rappresentazioni non emergano immediatamente nella parte cosciente è causa della forza di resistenza che si oppone a ciò. Tutte le percezioni che ci giungono dall'esterno, quelle sensoriali, e quelle che provengono dall'interno, come le sensazioni e i sentimenti, risalgono tutte alla parte conscia della nostra psiche[30].
Sostenendo il punto di vista di Freud, si può dire che Rhoda percepisce un vuoto d’ amore a causa della lontananza fisica e affettiva dalla sua famiglia. Nello stesso tempo non è riuscita a integrarsi nel paese d’arrivo, rispetto al quale vive un distacco e un sentimento di riluttanza. Forse la mancanza di legami la induce a fare di tutto per stare vicino a Gianna, fino a cambiare solamente per piacerle. Per lei è come una mamma, un sole e una primadonna. È disposta anche ad avere un contatto fisico con Gianna di cui non è convinta e che rischia di annullare, completamente la sua identità, che già fino ad allora era stata molto fragile. Rhoda è arrivata ad un punto morto in cui lei non sa cosa fa e non capisce sé stessa. Come se ci fosse un motivo interno che la muove e lei reagisce, ma nello stesso momento non ha il potere di dominarlo.
Addirittura, dopo che Gianna l’ha chiamata lesbica, Rhoda pensa continuamente al termine con il quale è stata descritta: «LESBICA. Odiavo quella parola. Io non ero così. Il mio amore era puro mi dicevo. Io non amo le donne, dicevo a me stessa, io amo solo lei. Il sesso non c’entra. E mi rincuoravo per un istante»[31]. Si sente confusa dal sentimento provato per la sua amica divenuta amante, non sa quale nome dargli, però riconosce di essere inorridita da queste nuove sensazioni. Le sue reazioni contraddittorie diventano comprensibili alla luce delle teorie psicanalitiche di Freud.
Secondo il filosofo austriaco, ciascun individuo, tramite l'azione combinata della sua disposizione innata e dell'influenza esercitata su di lui nei primi anni della vita, ha acquisito una sua maniera particolare di vivere la propria vita erotica[32]. Una parte di questi impulsi è rivolta verso la realtà ed è a disposizione della personalità cosciente, mentre un'altra parte è tenuta fuori dalla realtà poiché è stato impedito di espandersi, salvo nella fantasia, o è rimasta nell'inconscio[33]. Se il bisogno d'amore di un individuo non è interamente soddisfatto dalla realtà, egli si avvicinerà ad ogni nuova persona con idee libidiche (la libido è la pulsione per eccellenza di natura sessuale dell'uomo), attivando così il cosiddetto fenomeno del transfert.
È un processo che, nel caso della protagonista, conduce a una trasformazione, un’alterazione della personalità: dopo aver intrecciato la relazione con Gianna, la Rhoda di prima non esiste più. È un cambiamento che la Scego è riuscita a mostrare grazie alla scelta dei termini per descrivere i tratti caratteriali di Rhoda: come era prima e come è diventata attraverso questa scena. Scego descrive la Rhoda di prima, quella devota, religiosa, generosa, umile, amorevole, aristocratica, ma a un tratto quella Rhoda viene sepolta dalla nuova Rhoda impura, insaziabile e sporca[34]. Le parole utilizzate da Rhoda sono dure e sincere, esse mostrano la consapevolezza della protagonista sui cambiamenti del suo io dopo l’incontro con Gianna, aiutando il lettore a capire la sua trasformazione interiore.
A questo punto, dopo aver analizzato le due opere, possiamo fare una sintesi delle considerazioni riguardanti il tema dell’identità che si trova spesso nella letteratura postcoloniale.
Per quanto riguarda l’identità personale, sia della prima generazione che della seconda, i personaggi descritti da Scego mostrano una personalità distorta, che nasconde crepe profonde visibili in alcuni momenti del racconto. I personaggi di prima generazione mostrano una natura energica, sono pronti a spendersi senza riserve per la loro famiglia, anche se sono delusi per non aver mai mostrato la propria identità agli altri. Al contrario, la seconda generazione è caratterizzata da insicurezza e fragilità. Anch’essi, infatti, portano dentro di sé diverse lacerazioni. Sembra quasi che la Scego voglia dimostrare con queste narrazioni che le prime generazioni di migranti non siano le uniche ad aver sperimentato esperienze traumatiche, e come loro, anche i giovani appartenenti alla seconda generazione di migranti hanno subito un duro distacco dalla loro vita precedente al trasferimento. All’interno di questo quadro, i migranti della seconda generazione si confrontano con una molteplicità d’identità ed un ambiguo senso di appartenenza. È proprio questo miscuglio di diverse culture, l’idea dell’ibridismo, che assume un grande importanza nella letteratura postcoloniale. Scego presenta come una rappresentazione collettiva del senso di alterità che caratterizza l’identità ibrida di molti immigrati di seconda generazione in Italia. Dall’analisi nel presente studio, sono arrivata alla conclusione che sia i personaggi di prima che quelli di seconda generazione, adulti o giovani che siano, subiscono un trauma che provoca conseguenze per tutta una vita.
Si può concludere che la narrazione di Scego vuole andare al di là del valore letterario per diventare uno strumento per superare i confini del paese. Possiamo dire che le donne migranti si sono impegnate per creare un dialogo con la popolazione italiana attraverso la scrittura, perché non è mai facile fare un ponte per avvicinare due mondi che sono distanti. Hanno trasmesso un forte messaggio alla società italiana, ovvero che l’altro non è inferiore a nessuno, per cui deve essere guardato con rispetto e ascoltato con attenzione.
[1] Cfr. Agostino Portera, Tesori sommersi: emigrazione, identità, bisogni educativi interculturali, Milano, Franco Angeli, 1999, pp.21- 51.
[2] Cfr. Raffaele Taddeo, Letteratura nascente. Letteratura della migrazione. Autori e poetiche, Milano, Raccolto, 2006, pp.112-113.
[3] Pierfranco Malizia, Identità versus identità: Una riflessione sulle identità e sulle rappresentazioni dell’Altro come supporto al pregiudizio e alla diseguaglianza nelle società ‘quasi-multietniche’, vol. 4, n. 8, Firenze University,2013, p.183.
[4] Cfr. Charles Horton Cooley, Human Nature and the Social Order, New York: Charles Scribner's Sons, revised edn 1922, p.12.
[5] Cfr.Sergio Belardinelli e Leonardo Allodi, Sociologia della cultura, Milano, Franco Angeli, 2006,90-91.
[6] Stuart Hall, Kulturelle identität und globalisierung, in: Karl Hörning und Rainer Winter (a cura di): Widerspenstige Kulturen. cultural studies als Herausforderung. Frankfurt: Suhrkamp 1999, p.410. Ora in Angela Landolfi, Identità ibride in contesti interculturali post-migratori e postcoloniali in Italia e in Francia: percorsi transdisciplinari, dottorato di ricerca in relazioni e processi interculturali ciclo xxvi, Università Degli Studi del Molise Dipartimento di Scienze Umanistiche, Sociali e Della Formazione, p. 31.
[7] T. Todorov, La letteratura in pericolo, Milano, Garzanti, 2008, pp. 16-17.
[8] Igiaba Scego, La mia casa è dove sono, Torino, Loescher Editore, 2012, p. 40
[9] Ivi, p. 172.
[10] Ivi, p.98.
[11] Ivi, p. 97.
[12] Ivi, 45.
[13] Ivi, 23.
[14] Ivi, 25.
[15] Ivi, 37.
[16] D. Comberiati, La quarta sponda. Scrittrici in viaggio dall’Africa coloniale all’Italia di oggi. Roma: Caravan, 2009, p.90.
[17] G. Bruno, Viaggio in Italia. Vedute da casa. In: Calefato P (a cura di) Cartografie dell’immaginario. Cinema, corpo, memoria. Roma, Sossella, 2000, p.30.
[18] Cfr, Stefania Benini, Tra Mogadiscio e Roma: le mappe emotive di Igiaba Scego, Harvard University, USA, Vol. 48(3), 2014, p.5.
[19] Ivi, p.35.
[20] Igiaba Scego, Rhoda, Roma, Sinnos Ed. 2004, p.76.
[21] Gaal: bianco, europeo, occidentale (dal Glossario di Rhoda, p.211).
[22] Ivi, p. 151.
[23] Ivi, p.155.
[24] Ivi, p. 50.
[25] Ivi, p. 54.
[26] Qad: droga leggera simile alla marijuana. Si mastica tipo tabacco. Toglie il sonno, dà assuefazione. (dal Glossario di RH, 213).
[27] Ivi, p.65.
[28] Ivi, p.159.
[29] Ivi, p.125.
[30] S. Freud, L'Io e l'Es, Milano, Mondadori, 2010, p.29.
[31] Scego, Rhoda, op.cit, p. 125.
[32] S.Freud , Psicoanalisi, Il metodo psicoanalitico di Freud, Feltrinelli, Milano, p.104.
[33]Ivi, p.15.
[34] Scego, Rhoda, op.cit., p. 165.
Corpus
Bibliografia
Riviste e Giornali
Sitografia