Document Type : Original Article
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Italian Department, Faculty of Languages and Translation, Misr University for Science and Technology
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. Introduzione
Gadda rappresnta le vicende degli episodi della vita reale come un “groviglio inesplicabile” in balìa del caos. Egli vede il mondo come un garbuglio, un caos, un groviglio; o gnommero che alla romana vuol dire gomitolo; e per raffigurare questo pasticcio si usa di una speciale scrittura basata sulla commistione dei linguaggi: unendo forme colte del linguaggio con forme dialettali; la forma arcaica con quella della lingua di tutti i giorni; termini tecnici, scientifici e burocratici con forme di espressioni popolari.
Il plurilinguismo gaddiano merita centinaia di sottili analisi linguistico-stilistiche, che sporgono la commistione tra le varietà di un italiano colloquiale, tecnicizzante, aulico, burocratico, neologistico, gergale, incluso degli pseudoforestierismi e dei forestierismi. Ulteriormente la raccolta dei dialetti italiani (romanesco, napoletano, veneto, milanese) che ha sviluppato gli studi su Gadda e quelli critici che hanno colto delle novazioni dell’espressione gaddiana nel lessico. Cesare Segre dice che ‘come se in ogni punto della pagina gaddiana convergessero tutti i motivi dell’atto creativo’ e Mengaldo, dall’altro conto, nota che ‘a fronte di una abbondante dissipazione linguistica, Gadda struttura il suo periodare ‘‘a singhiozzi’’, prediligendo la giustapposizione di gnommeri sintattici, fondata sulla scarsa subordinazione, la contrapposizione di brevi elementi, lo stile nominale’ (Novelli, 2008). La ricchezza di figure retoriche di ripetizione di suono segna il passaggio dagli elementi costruttivi a quelli emotivi nel testo, ben notati via ‘l'interpunzione che frantuma, le serie di aggettivi collegati per asindeto, le inversioni. Secondo Mengaldo e Coletti, la forza straripante della modernità e ricchezza stilistica di Gadda ne segna anche i limiti narrativi. Gadda, in quanto erede degli Scapigliati, dal punto di vista dell’impianto narrativo si limita a ‘‘dilatare e giustapporre poemetti in prosa’’. Senza che questo confuta un dovuto riconoscimento: Nessun prosatore dell’Italia moderna possiede una lingua altrettanto ricca, innovativa, idiosincratica, infine esplosiva’ (ibidem).
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana è l’opera di Gadda che più fortemente rappresenta un frantumato di società, anche attraverso un intenso contributo delle voci dei vari personaggi messi in scena, imparagonabilmente maggiore rispetto agli altri testi narrativi dell’autore. Il paragone ad esempio con la Cognizione del dolore, l’altra opera di larga ampiezza scritta da Gadda, manifesta a prima vista le diverse modalità rappresentative: basta anche solo mostrare il differente peso che i dialoghi hanno nei due romanzi, percepibile a prima vista. Quantunque, anche nel Pasticciaccio è molto notevole la presenza di una voce narrante fortemente distinta, caratterizzata dal peculiare plurilinguismo dell’autore, che pure in questa situazione non rinuncia affatto a valersi di quell’ampio repertorio lessicale confacente alla sua scrittura.
Il critico Albert Sbragia ha descritto Gadda con l’autore italiano più intraducibile, a causa del suo stile di scrivere cosi difficile, e del suo uso di pasticcio delle lingue tra quale latino, spagnolo, greco, francese, italiano in tutti i suoi registri e i dialetti come milanese, fiorentino, romanesco, veneto, napoletano (Sbragia, 1996:6-9).
La parola “pastiche” si usa per descrivere un testo letterario in cui si fondono dei molteplici generi di provenienza disparata, attraverso calchi e imitazione di stili e forme di diversa origine.
In primo luogo, esistono tanti componenti lessicali del pastiche linguistico, che sono attivi nel romanzo; cito alcuni di questi elementi:
Si nota l’uso gaddiano, a lui specifico, del dialetto nelle sue opere. Il linguista Claudio Marazzini dice intorno all’utilizzo di Gadda del dialetto:
Un uso diverso del dialetto […] negli scrittori ‘mistilingui’ come Carlo Emilio Gadda. Nella sua pagina si affollano i più vari elementi. Non c’è solo dialetto, ma una varietà: lombardo nell’Adalgisa e nella Cognizione del dolore, fiorentino nelle Favole e in Eros e Priapo, romanesco e molisano, con qualche battuta in veneto, in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. È il ‘multilinguismo’ o pastiche gaddiano: attraverso un processo di straniamento, materiali eterogenei convergono nella pagina dello scrittore, con esiti espressionistici (Marazzini, 2004:205-206).
Il pasticciaccio è un romanzo della narrativa del Novecento in cui i dialetti hanno il peso superiore. Accanto al romanesco, ci sono il napoletano del Commissario Fumi, il veneziano della Contessa Menegazzi, e il miscuglio molisano-romanesco di Ingravallo, frequenti toscanismi, alcuni lombardismi ed anche un piemontesismo. In tutt’e due i i casi, il dialetto può trascendere dal dialogato alla narrazione, non solo attraverso il modulo del discorso indiretto libero. Qulache esempio del napoletano: ‘’o collega suo’[1] (223), ‘no speci-ale favore’ (223) (l’artificio grafico serve alla riproduzione della pronuncia napoletana); ‘Titubavan tutti nu poco’ (224). Elementi romaneschi: ‘sventolaveno e traballaveno appena se moveva come du foje de broccolo’ (223).
Con il dialetto romanesco si sente e appare la paura degli abitanti dopo il furto dei gioielli della signora Menegazzi. Tale paura si manifesta durante l’interrogazione di una ragazzina che forse aveva visto il responsabile del delitto:
Di’, di’ pupa mia bella! nun piagne, che co te ce sta mamma tua che te vo tanto bene, tiè, le scoccò du baciozzi, nun te spaventà der dottore. Er dottor Ingarballo nun è un dottore de queli brutti, che so’ tanto cattivi, poveretti, de queli che te fanno la bua su la lingua. È un dottore cor vestito nero, ma è tanto bono! (72).
In una scena del romanzo, descrivendo l’ambito del locale, il dialetto esce dall’ambito del discorso e infiltra di nuovo la narrazione stessa. Pare che all’improvviso Gadda inserisca delle frasi in dialetto come: ‘Er pollice l’aveva infilato ner buco d’una tavoletta e coll’artre dita l’istessa mano strigneva un mazzetto de pennelli, da spennellà co la tintura nun se sa che pezzo de pelle, si gnente gnente j’avesse trovato un quarche strugnoccolo, a quarchiduna’ (124).
Una caratteristica particolare del Pasticciaccio è il fatto che il dialetto non è attribuito continuamente ad un personaggio. Matt dice che in alcuni brani la narrazione procede utilizzando pienamente il romanesco, senza che ciò si possa spiegare con l’adozione del punto di vista di uno degli attori del dramma (Matt, 2012:23). In alcuni casi la voce narrante sembra lasciar posto a ‘un narratore sconosciuto, persona incolta, normalmente inserita nel mondo dialettale romanesco’ (Cane, 1969:114). È ciò che capita, per citare solo il caso più notabile, nella descrizione del funerale di Liliana, in cui, ‘oltre che nell’uso del dialetto, la popolarità della voce narrante si manifesta nel modo semplicistico di vedere le cose’(Matt, 2011:192). In tutte le pagine di questo tipo, il discorso non è condotto integralmente in puro romanesco, ma è contaminato da continui frammenti di italiano. Il carattere di narrazione in romanesco indica un uso del dialetto non esclusivo, ma dominante, ad esempio: ‘du fojacci de bandone pe parafanghi ripitturati de nero cor pennello’ (223).
Il milanese può apparire tramite terimini di origine milanese o comunque di area settentrionale che compaiono nel romanzo; come si può vedere dal seguente elenco: stravento s.m. ‘vento che spira di traverso’ (117); rubalizio s.m. ‘furto’ (23); furugozzo s.m. ‘frenesia’ (105); sarecchia s.f. ‘tipo di falce’ (130); grangia s.f. ‘capannone agricolo’ (200); incavagnato agg. ‘intrecciato’ (203); pantegana s.f. ‘topo di fogna’ (163); pirlare v.intr. ‘girare su sé stesso’ (33); lumatina s.f. ‘guardatina’ (190); biroccio s.m. ‘barroccio’ (183).
Il milanese appare anche attraverso intere frasi, in brani in cui sembra di sentire la voce dell’autore, che commenta sarcasticamente il regime fascista: ‘nemmeno gli riusciva di consolarsi con quel proverbio che aveva udito a Milano da una ragazza, al dispensario celtico di via delle Oche: “I òmen hin semper bèi”.[2] (11). Qui il punto di vista è quello di Ingravallo, trattasi di un sostituto di Gadda.
Un altro esempio: ‘co in coppa a ’a capa ’o fez, co ’o pernacchio dell’Emiro. E- miro de sàbet gràss’[3] (108).
In altri espisodi, l’inserzione milanese intrica la prospettiva del racconto, essendo del tutto inadeguata rispetto ai personaggi o agli ambienti oggetto di rappresentazione, e risultando anche non ben spiegabili come commenti fuori campo del narratore: ‘Dentro, lo si intuiva, lo si annasava, ci doveveno aver bevuto e ttrincato, masticato mortadella, pitturato i labbri d’Olévano, ‘‘a m l’è bon chel Lambroesk chè, al va giò ch’al par on oli’’ ‘‘sè, ad rècin,’’ fumato popolari, starnutato, scaracchiato, vomitato l’Olévano e la mortadella’ (224); ‘la Camilla, forse, ne disponeva, glie ne poteva dare: ghe ne podeva dà... on po d’ moneda’ (212).
Un altro caso notevole è la presenza dei fiorentinismi, che appaiono in tutte le opere gaddiane, particolarmente quando l’autore vuol rendere un tono comico o ciarliero.
Sono abbondanti le parole fiorentine nel Pasticciaccio, ne cito quelle comuni in italiano: alido s.m. ‘siccità’ (148); battima s.f. ‘battigia’ (83); aggeggiare v.intr. ‘darsi da fare’ (50); bacìo (a bacìo) loc.avv. ‘in direzione del nord’ (164); bercio s.m. ‘grido’ (197); boce s.f. ‘voce’ (128); berciare v.intr. ‘gridare’ (217); bischero agg. ‘stupido’ (65); bruzzico (a bruzzico) loc.avv. ‘prima dell’alba’ (159); buzzino s.m. ‘pancetta’ (172); catorbia s.f. ‘carcere’ (130); bubbolare v.intr. ‘tremare dal freddo’ (180); casigliano s.m. ‘coinquilino’ (18); ciarpa s.f. ‘sciarpa’ (16); chiassetto s.m. ‘vicoletto’ (54); cintolo s.m. ‘fascia’ (179); chiù s.m. ‘assiolo’ (157); culaia (a culaia) loc.avv. ‘che minaccia pioggia’ (183); dolco s.m. ‘tempo mite’ (204); impazzare v.intr. ‘impazzire’(59); guindolo / guìndolo s.m. ‘arcolaio’ (123); mutolo agg. o s.m. ‘muto’ (127); pinzare v.tr. ‘pungere’ (220); risecco agg. ‘avvizzito’ o ‘inaridito’ (234); ruspi pl.m. ‘denaro’ (71); sciàvero s.m. ‘ritaglio di stoffa’ (130); stiacciato agg. ‘schiacciato’ (205); sdrucio s.m. ‘sdrucitura’ (200); strullo agg. ‘sciocco’ (117); stiantare v.intr. ‘schiantarsi’, ‘morire’ (74); torbo agg. ‘torbido’ (123); veggio s.m. ‘scaldino’ (86); versiera s.f. ‘strega’ (122).
Oltre a questi vocaboli fiorentini, appaiono dei toscanismi morfologici, quali l’articolo i’: d’i’ ccavallo: ‘alla bocca d’i’ ccavallo’ (167), su i’ mmuso: ‘non si sa che sponga su i’ mmuso dalla bizza’ (167), a i’ sudicio: ‘come una ghiandolina di piccione morto da buttare a i’ sudicio’ (195); il pronome relativo icché: ‘ne facesse un po’ icché voleva’ (129), ‘Icché non pol fare la paura’ (131); il pronome personale e’, singolare o plurale: ‘E’ s’era involato’ (162); ‘e’ dicevano’ (228); la desinenza in –ano della sesta persona dell’indicativo in un verbo di coniugazione diversa dalla prima: ‘ogni cunetta, come dicano loro, ogni zanella’ (131); il participio passato a suffisso zero: maglie buche: ‘un cumulo di stracci, panni, golfoni e maglie buche a ritingere’ (117).
Il Pasticciaccio è molto ricco di termini appartenenti ai linguaggi settoriali, impiegati in maniere e con funzioni diverse.
Si può dividerli in due linee maggiori: tecnicismi scientifici e tecnicismi umanistici. Appartengono al primo: termini e locuzioni della chimica, della fisica, dell’ingegneria, della matematica, della medicina, dell’astronomia, etc. Appartengono al secondo: termini e locuzioni della filosofia, della teologia, e altri.
Cerco di sottolineare in breve la differenza tra i linguaggi settoriali, il gergo ed i registri.
3.1 Linguaggi settoriali
Le lingue specialistiche, denominati linguaggi settoriali, si definiscono come una modalità di comunicarsi ed esprimersi particolarmente di un ambito specialistico, specificamente di natura scientifica o tecnica (si parla del linguaggio tecnico-scientifico, della burocrazia, della medicina, della pubblicità, della politica, dello sport, anche del giornalismo ecc.). Con quella definizione, il linguaggio settoriale ha delle somiglianze con i ‘gerghi’ professionali e di mestiere, di cui rappresenta un’evoluzione, nonostante se ne distingua per la maggior precisione (per evitare eventuali equivoci) e in alcuni casi per la formalizzazione esplicita. Alcuni termini delle lingue straniere si usano nei linguaggi settoriali senza adattamento all ’italiano, formandosi nuove parole tramite l’uso degli affissi: ad esempio il suffisso –ite nel settore della medicina che indica un’infiammazione acuta, e si usano termini della lingua comune ma con un significato differente (ad esempio interesse in economia), creandosi sigle che sono utilizzate come parole intere (per esempio TAC che è nota come tomografia assiale computerizzata). (cfr. Rovere 2010).
3.2 Il gergo
Dall’Altro lato dei linguaggi settoriali è il gergo. Il gergo è una lingua fornita di un lessico particolare che viene usato da specifici gruppi di persone – sociali o professionisti- in certe condizioni o contesti, per fare la comunicazione ambigua agli estranei e mettere in rilievo l’affliazione al gruppo. Il gergo perciò si presenta come un cifrario segreto o piuttosto un codice interno di un gruppo che esclude gli altri dalla comunicazione e dona ai suoi eloquenti il senso di coerenza e identità interna, conseguentemente della loro operosità e condivise esperienze della vita comune.
Il gergo si manifesta su tutti i piani linguistici. Sul piano fonetico, ad esempio, si inserisce r o l : pelanda/pelandra per ‘mantello’, cospa/crospa per ‘casa’; scambio delle consonanti velari di k e g con t, p, b o f: come calchi/balchi per ‘occhi’, e morchì/morfire per ‘mangiare’; scambio tra le vocali i/u e i/a: per esempio spiga/spago per ‘paura’. Sul piano lessicale vengono usati prestiti di altre lingue: «come dall’arabo zaraffo ‘complice’, gaffa ‘guardia’; dal tedesco fraula ‘donna’ (dal tedesco ‘Fräulein), spillare ‘giocare’ dal ‘spielen’; e dalla lingua dei rom: gagio ‘una persona non rom’, slenza ‘acqua’. Sul piano morfosintattico si rilevano: costruzione della negazione con bus, buschia postposto: come impeltre bös ‘non capisco’; metatesi antefo per ‘fante’, cioè ‘servo’; uso costante dei suffissi: p.e. rufaldo ‘ladro’, fangose ‘scarpe’, verdosa ‘erba’, bernarda ‘notte’, birbone/barone ‘vagabondo’ e desuffissazione: p.e. pula ‘polizia’, caramba ‘carabinieri’» (ibidem).
Bisogna in ogni modo sottolineare che i linguisti italiani rivelano la differenza tra le due categorie: chiamano lingue specialistiche quelle varietà che prevedono un alto grado di specializzazione (matematica, medicina, linguistica, informatica) e lingue settoriali quelle che riguardano settori e ambienti di lavoro non specialistici (lingua della pubblicità, dei giornali, della televisione). Entrambe le categorie si possono riassumere sotto l’iperonimo di lingue speciali o sottocodici. Le differenze di sottocodice appariscono soprattutto nella semantica e nel lessico: «ogni settore di attività e di esperienze con una sua sufficiente caratterizzazione o specializzazione sociale e culturale» (Garajová 2014: 60-61). ʻDunque le varietà collegate all’argomento sono chiamate lingue speciali o sottocodici, lingue specialistiche o linguaggi settoriali,e quelle collegate al livello di formalità della comunicazione sono chiamate registriʼ (ivi. 57-58).
3.3 I registri
L’alterazione di registro (cosiddetta anche variazione stilistica), come dice Garajová (2014: 59-60), «scaturisce dalla peculiarità della condizione e dal ruolo mutuo degli interlocutori ed è legata al grado di formalità o informalità attinente alla situazione socievole e al grado di attenzione e di controllo che gli interlocutori collocano nel compiere la produzione linguistica. Il livello della formalità si lega pure con le condizioni sociali e culturali: una situazione è tanto più formale quanto più è centrata sul rispetto e l’esecuzione accurata di norme di comportamento in vigore nella società, ed è tanto più informale quanto meno coinvolge per realizzare le norme codificate di comportamento.
Il contesto formale esige l’uso di un registro formale e controllato - al contrario di occasioni informali di un registro informale e trascurato- in cui viene adoperata la forma scritta della lingua ha un grado di formalità più alto (eccetto le condizioni di scrittura spontanea e rapida, come quelle della comunicazione mediata dal computer), quelle situazioni in cui si usa la lingua parlata di solito cocordono con gli usi informali: p.e le forme usate per esprimere una richiesta, ordine o informazione hanno varie forme a seconda del grado di formalità della situazione comunicativa: apri la porta- aprireresti la porta? - ti piace aprire la porta? - non dimenticare di aprire la porta - si prega di aprire la porta; al riguardo delle forme di saluto: ciao, buon giorno, ossequi; ugualmente le forme allocutive che esprimono il rapporto degli interlocutori: ‘tu’ x ‘Lei’ x ‘Ella’; Anna, signora Anna, signora Rossi».
Lungo la sbarra alle cui estremità si trovano i registri più formali e quelli informali si inquadrano altre varietà di registro con varie gradazioni. Il registro per lo più informale (ma non definitivamente) usato nella comune conversazione quotidiana è la lingua colloquiale.
Possiamo notare l’esempio seguente, ritratto da Berruto (1993: 37-92), che “rapresenta la variazione diafasica del concetto di ‘morire’ in rapporto ai tre assi che caratterizzano il registro. Sull’asse orizzontale si trovano i registri sulla scala dalla formalità all’informalità, l’asse trasversale ha per i due poli registri solenne e volgare e l’asse verticale offre una gamma di registri dal eufemistico al disfemistico. Nel punto di intersezione dei tre assi (nel disegno il punto di intersezione è soltanto ipotetico poiché per le ragioni pratiche l’asse verticale è disegnato come spostato dagli altri due) esistono morire e mancare, che si considerano le forme neutre, diafasicamente non marcate. Bisogna osservare che l’elenco non è comunque chiuso e il posto di ogni forma nel diagramma non è fisso o immutabile, siccome la percezione di ogni termine accetta uno spostamento verso l’alto o il basso”.
(Figura 1: illustra la variazione dei reigstri della parola “morire”)
Si può ora sintetizzare gli aspetti essenziali dei registri. Queste carattersitiche differenziali sono sul piano della morfosintassi e riguardano quindi il lessico, la pronuncia, la pragmatica, l’articolazione testuale.
Nei registri formali osserviamo spesso le forme fonetiche non marcate, la pronuncia è più curata e la velocità della parlata è ridotta. Il lessico, soprattutto quello dei registri elevati (ad esempio aulici) è rapresentato da una vasta collezione di termini specifici o aulici (conferire con, recarsi, adirarsi), parole dotte, forestierismi, e lessemi arcaizzanti o almeno letterari (qualora, onde, affinché, altresì, redarguire, parimenti). Fondamentalmente sono frequenti i sinonimi differenziati per registro: nel paio di sinonimi, per es., cibarsi e mangiare, milite e soldato ecc., il primo elemento è di registro formale, il secondo è di registro medio; regolarmente in rompiscatole e seccatore, venire giù e scendere, il primo termine è di registro informale e il secondo di registro medio. Si trovano anche serie di sinonimi con varie gradazioni che si spostano dal polo di informalità verso il polo di formalità, come per esempio: automobile, autovettura, macchina, auto.
Nei registri informali invece presentano tratti fonetici marcati, con chiara intromissione di uno sfondo dialettale. Nel lessico informale osserviamo i termini generici (faccenda, cosa, tizio), parole espressive (zucca), disfemismi (casino), parole abbreviate (prof, bici, tele), e per la elevata emozionalità anche le onomatopee (squash, bang). Sul livello testuale è frequente la minore complessità sintattica del periodo, la scarsa pianificazione testuale, false partenze, cambiamenti di progettazione; le frasi sono spesso brevi ed ellittiche; all’opposto di quello del registro formale in cui è più elevata e complessa la sintassi, assieme alle frasi subordinate esplicite ed implicite e pochi cenni all’ambito situazionale.
3.4 Tecnicismi scientifici
3.4.1 Chimica: sesquiossido s.m. ‘ossido la cui molecola è formata da tre atomi di ossigeno e due di metallo’ (196); lipoide s.m. ‘sostanza analoga ai lipidi’ (191); papaverina s.f. ‘alcaloide dell’oppio usato in farmacologia’ (101); proteina s.f. ‘sostanza organica azotata’ (133); peptone s.m. ‘prodotto della demolizione di sostanze proteiche’ (222); biossido s.m. ‘Composto formato da un atomo di un metallo (o di un non metallo) e due di ossigeno’ (88); silice s.f. ‘diossido di silicio’ (87); blu di metilene loc.s.m. ‘tipo di colorante’ (196); urea s.f. ‘sostanza azotata presente nell’organismo umano’ (191); anidricità s.f. ‘assenza di acqua’ (64); aminoacido s.m. ‘composto organico’ (191); ebanite s.f. ‘sostanza derivata artificialmente dalla gomma’ (202); carbonioso agg. ‘che contiene carbone’ (91); colloide agg. ‘in chimica, sistema costituito dalla dispersione di una sostanza colloidale solida (S), liquida (L) o gassosa (G) (fase dispersa) in un’altra (fase disperdente), anch’essa allo stato solido, liquido o gassoso (➔ colloidale, stato)’ (173); ippurico agg. ‘di amminoacido presente nell’urina di alcuni animali’ (213); etilico agg. ‘in chimica, di composto la cui molecola contiene il radicale etile; alcoolico’ (163).
3.4.2 Fisica: polarizzarsi v.intr. pron. ‘subire un processo di polarizzazione’ (70); elettrone s.m. ‘particella subatomica con carica negativa’ (223); energia cinetica loc.s.f. ‘energia di un corpo in movimento’ (122); viscosità s.f. ‘grado di scorrevolezza di un fluido’ (235); tempuscolo s.m. ‘intervallo di tempo infinitesimale’(164); candelaggio s.m. ‘misura di intensità luminosa in candele’ (116); vacuo torricelliano loc.s.m. ‘vuoto che si crea all’interno di un barometro, al di sopra del mercurio’ (203); induzione s.f. ‘modificazione che determinate proprietà di un corpo subiscono per la vicinanza di un altro corpo’ (109); wayne s.m. ‘unità di misura della viscosità’ (64); coulombiano agg. ‘relativo alle teorie di Coulomb’ (221); newtoniano agg. ‘relativo alle teorie di Newton’ (203).
3.4.3 Matematica: lemniscata s.f. ‘tipo di curva’ (203); triangolo isoscele loc.s.m. ‘triangolo che ha due lati uguali’ (195); asteroide s.m. ‘figura geometrica a forma di stella a quattro punte’ (50); apotema s.m. ‘segmento di perpendicolare tracciato dal centro ad un lato di un poligono regolare’ (195); azimut s.m. ‘angolo compreso tra un punto dato e un piano di riferimento’ (110); trìgono s.m. ‘triangolo’ (162); diedro s.m. ‘spazio compreso tra due semipiani che si originano dalla stessa retta’ (210); parallelepipedo s.m. ‘poliedro le cui facce sono costituite da parallelogrammi’ (192); scalenoedrico agg. ‘che ha forma di scalenoedro’ (196); ellittico agg. ‘che ha forma di ellisse’ (86); scalenoide agg. ‘che ha forma asimmetrica’ (191).
3.4.4 Meccanica, tecnica: biella s.f. ‘elemento che collega due parti di una macchina’ (186); collettore di scarico loc.s.m. ‘condotto per lo scarico all’esterno’ (161); autoclave s.f. ‘contenitore metallico per la sterilizzazione’ (117); carda s.f. ‘macchina per la cardatura’ (132); eccentrico s.m. ‘piastra rotante’ (134); impanatura s.f. ‘filettatura’ (188); induttanza s.f. ‘rapporto tra il flusso di induzione e l’intensità della corrente’ (114); molazza s.f. ‘impastatrice meccanica’ (134); indotto s.m. ‘parte di una macchina elettrica’ (109); martinicca s.f. ‘freno che nei veicoli a trazione animale viene azionato a mano’ (205); pantografo s.m. ‘dispositivo per la presa di corrente che si trova nel tetto dei treni elettrici’ (131); frizione s.f. ‘dispositivo che consente il cambio delle marce in un autoveicolo’ (224); trasformatore s.m. ‘macchina elettrica che trasforma la corrente alternata’ (63); verricello s.m. ‘piccolo argano’ (173); valvola s.f. ‘dispositivo che serve a regolare il passaggio di liquidi in una sola direzione’ (186); statore s.m. ‘parte fissa di una macchina elettrica’ (109); watt s.m. ‘unità di misura della potenza elettrica’ (90); dielettrico agg. ‘relativo a bassa conducibilità elettrica’ (64); nichelato agg. ‘ricoperto da uno strato di nichel’ (54).
3.4.5 Medicina
Nel romanzo sono abbondanti i termini appartenenti al lessico medico, quindi presenterò una breve introduzione al linguggio medico.
3.4.5.1 Il linguaggio medico
Il linguaggio medico, come linguaggio tecnico-scientifico, è un esempio caratteristico di lingua speciale: con questo concetto, la varietà funzionale intende una lingua naturale, collegata a un ambito di conoscenze o a una sfera di attività specialistiche, impiegata, nella sua interezza, da un gruppo di parlanti più limitato della totalità dei parlanti la lingua di cui quella speciale è una varietà, per soddisfare i bisogni comunicativi e referenziali di quel determinato settore specialistico.
A livello lessicale, la lingua speciale è composta da una collezione di corrispondenze aggiuntive a proposito di quelle comuni e generali della lingua; e a livello morfosintattico, composta da un gruppo di correzioni, ricorrenti con regolarità, all’interno di forme disponibili della lingua. Particolarmente, nel lessico che si accentra la specificità disciplinare nei confroni di altre lingue speciali: tramite il lessico, gioca un rilevante ruolo discriminante, che illustra l’individualità di un sottocodice scientifico nei riguardi della lingua comune[4].
C’è, dunque, una stratificazione orizzontale che illustra i linguaggi tecnico-scientifici nei diversi settori specialistici, e anche la lingua comune.
(Schema che esporre il rapporto esistente tra lingua generale, lingua comune e lingue speciali[5]).
3.4.5.2 Termini della medicina
basioglosso s.m. ‘muscolo situato alla base della lingua’ (167); borborigmo s.m. ‘brontolio dello stomaco’ (234); capillizio s.m. ‘cuoio capelluto’ (167); algolaghnico/ algolagnico agg. ‘caratterizzato da algolagnia’ (130); cachettico agg. ‘estremamente deperito’ (233); acromegàlico agg. ‘affetto da acromegalia’ (38); auricolare agg. ‘dell’udito’ (114); astenia s.f. ‘condizione di debolezza patologica’ (112); carotide s.f. ‘arteria del collo’ (49); derma s.m. ‘strato interno della pelle’ (14); antilòbo s.m. ‘sporgenza cartilaginea posta davanti al lobo dell’orecchio’ (112); apoplettico agg. ‘affetto da aplopessia’ (71); dispensario celtico loc.s.m. ‘centro di sanità pubblica specializzato nelle malattie veneree’ (11); clorosi s.f. ‘tipo di anemia’ (41); affettività s.f. ‘complesso di pulsioni affettive’ (4); cicatrizzazione s.f. ‘formazione di una cicatrice nella guarigione di una ferita’ (100); eredoluetico s.m. ‘persona affetta da sifilide congenita’ (38); epigastro s.m. ‘zona dell’addome in cui risiede lo stomaco’ (23).
3.4.6 Geologia: corindone s.m. ‘tipo di pietra preziosa’ (196); diorite s.f. ‘tipo di roccia’ (149); peperino s.m. ‘tipo di roccia’ (191); corniola s.f. ‘tipo di pietra preziosa’ (195); arenaria s.f. ‘tipo di roccia’ (215); crosoberillo s.m. ‘tipo di minerale’(156); spinello s.m. ‘tipo di minerale’ (156); tormalina s.f. ‘tipo di minerale’ (107); cristallografico agg. ‘relativo alla cristallografia’ (196); tellurico agg. ‘sismico’ (81).
3.4.7 Geografia: geodesia s.f. ‘disciplina che studia la forma della terra e la posizione dei punti sulla sua superficie’ (146); cirro s.m. ‘tipo di nube’ (160); grecale s.m. ‘vento di nord–est’ (34); geodeta s.m. ‘studioso di geodesia’ (146); monsone s.m. ‘vento tropicale’ (67); geodetico agg. ‘calcolato secondo i principi della geodesia’ (146).
3.4.8 Astronomia: equinoziale agg. ‘proprio di un equinozio’ (117); ellisse s.f. ‘orbita di un corpo celeste intorno a un altro’ (130); gravitatorio agg. ‘relativo alla forza di gravità’ (130); equinozio s.m. ‘giorno in cui il sole si trova sull’equatore celeste’ (198); fotosfera s.f. ‘strato del sole’ (224); orbitazione s.f. ‘moto orbitale’ (203); orbitare v.intr. ‘muoversi secondo un’orbita’ (123); orbitale agg. ‘relativo all’orbita di un corpo celeste’ (164).
3.4.9 Biologia: fibrilla s.f. ‘costituente elementare di una fibra’ (70); tegumento s.m. ‘tessuto che riveste un organo’ (86); amebico agg. ‘relativo ad ameba’ (120).
3.5 Termini umanistici
3.5.1 Filosofia: ethos s.m. ‘norma di vita’ (85); logos s.m. ‘linguaggio in quanto attività del pensiero’ (202); sorite s.m. ‘polisillogismo’ (57); volizione s.f. ‘atto della volontà che porta al compimento di una data azione’ (150); maieutica s.f. ‘metodo dialettico che consente di far pervenire l’interlocutore ad autonoma consapevolezza’ (102); eleatico agg. ‘relativo all’eleatismo’ (82); escatologico agg. ‘che riguarda il destino ultimo dell’uomo’ (166);eleatico agg. ‘relativo all’eleatismo’ (83);teoretico agg. ‘che riguarda il problema della conoscenza’ (3).
3.5.2 Linguistica, retorica: apòcope s.f. ‘caduta di una sillaba in fine di parola’ (152); dittongo s.m. ‘unione di una vocale e una semivocale’ (185); etimo s.m. ‘forma da cui deriva una data parola’ (34); arsi s.f. ‘accento ritmico’ (187); ipotiposi s.f. ‘figura retorica attraverso la quale si rappresenta qualcosa in modo visivo’ (39); giambo s.m. ‘piede formato da una sillaba breve e una lunga’ (185); toponomastica s.f. ‘insieme di toponimi di una zona’ (230); agglutinante agg. ‘di lingua, la cui morfologia funziona per giustapposizione di elementi autnomi nel corpo delle parole’ (180); trocàico agg. ‘formato da trochei’ (162).
Il forestierismo è una parola, locuzione, o anche costrutto sintattico, introdotti in una lingua da una lingua straniera, sia nella forma originaria, sia con adattamento alla struttura della lingua d’arrivo.[6]
Sono frequenti le parole e frasi in lingua straniera in tutte le opere di Gadda. Sono presenti alcuni termini in inglese nel Pasticciaccio: holding (39), minding (144), cost insurance free (186), flint (196), tight (38), vegetables (24), pipe–line (59), clacson (161), shampoo (163), boxer (105), pointer (149), cracking (122), free along bank (186), bulldog/bull–dog (92). È attinta la parola toboga (228) dall’inglese americano.
Sono presenti anche termini e locuzioni in francese: au ralenti (131), du vieux terroir (204), anisette (61), en passant (193), caveau (75), élite (69), bleu (15), dessous (41), loisir (128), trop-plain (221), refrain (131), coûte que coûte (73), foulard, foulards (15), bouquet (158), chez nous (73), bonbons (189), pensif (144), haute pâte (160), béchamelle (187), empâtée (204), nuits de Saint Petersbourg (87), cherchez la femme (4), taxì (63), l’espace d’un matin (64), mi–carême (158), hélas (183), loisir de siéger (133), manicure (88), négligé (15), du côté de chez madame (18), soufflé (87), trousse (87), téléphone avec la manivelle (202).
Il francese può apparire anche in lunghe citazioni esplicite, come nel passo seguente:
L’effetto che la resurrezione in parola cavò di sue viscere [...] fu quello che si verifica ogni volta [...]: conglomerare le tre balìe – da Carlo Luigi de Secondat de Montesquieu con sì chiaroveggente capa sceverate, libro undecimo captolo sesto del suo trattatello di ottocento pagine circa l’esprit de lois – irremovibile camorra. In un tale evento, «le même corps de magistrature a, comme exécuteur des lois, toute la puissance qu’il s’est don- née comme legislateur. Il peut ravager l’État» (intendete? Ravager l’État!) «par ses volontés générales et, comme il a encore la puissanse de juger, il peut détruire chaque citoyen par ses volontés particulières»: particulières a lui, cioè al sullodato corps. (61-62).
Il tedesco si ritrova anche in discorsi diretti: ‘Il cannocchialante foca s’era creduto allora in dovere di riferire all’amministrazione – “Verwaltung, Verwal- tung!... Wo ist denn die Verwaltung? drüben links? Ach so!...’ (80); «“Jedes Jahr ein Kind, jedes Jahr ein Kind...” gli cantava quel tedesco, ad Anzio: che pareva una foca» (10); o nella citazione di un proverbio: «keine Rose ohne Dornen» (183).
Alcuni espressioni o vocaboli in spagnolo completano il registro dei forestierismi del Pasticciaccio: cuidado (234), prensa (39), desde Italia (39), desde la misma Italia (39). Potenziali prestiti da altre lingue sono limitati a parole già ben adattate in italiano, come il russo wodka (163), il turco harem (127), e l’urdu maharagia (197, 104).
Una costituente fondamentale degli elementi del plurilinguismo gaddiano è il latino, un’ingrediente attiva nella maggiore parte delle opere di Gadda, specialmente la Cognizione del dolore, Eros e Priapo e il Pasticciaccio. In pochissimi casi Gadda cita esplicitamente testi latini, mentre più frequenti sono le citazioni implicite; l’autore più approfittato come fonte è l’amatissimo Orazio, ma molto vivi nella memoria di Gadda sono anche Virgilio, Cicerone, e Catullo. Il latino si svela una componente piuttosto rilevante pure nel Pasticciaccio, in particolare, chiaramente, in quelle pagine in cui la narrazione è più distante dalla rappresentazione degli ambienti popolari e lascia spazio ad un registro elevato (Matteis, 1985:100-101).
In alcuni casi, si tratta di espressioni usate più o meno comunemente in italiano nel linguaggio intellettuale: ad hoc (213), agnus (150), ab aeterno (87), ad audiendum verbum (118), ad libitum (74), adnuente (adnuo) (103), asperges in nomine Domini (71), coeli jucundum lumen et auras (187), consule (74), coram (202), Corpus Domini (113), crescìte vero in gratia (167), do ut des (116), de jure decreto (161), de moribus, de temporibus (144), domum relapsa (166), Dominicus (34), evasi, effugi (84), extra muros (74), facio (37), fama volat (35), filius (180), gradus ad Parnassum (110), illis temporibus (223), ipso facto (221), homines consulares, homines praetorii (62), pro forma (74), de Quo (67), sine qua non (64), in facto (73), in loco (9), in utroque (7), manu armata (54), more insolito 154), mos (80), sui generis (193), primum vivere (61), quondam (128), Commodatam repetunt rem (70), gentes (70), item (81), quondam (128), manet sub jove frigido (71), memento (131), motu proprio (180), non datur casus, non datur saltus (155), ora et labora pro nobis (223), pater patriae (234), rictus (121), saepe proposui venire ad vos (168), sic et simpliciter (122), sic: nec aliter (81), sive (114), ubique (73) (cfr. Ceccotti e Sassi, 2002:17-113).
In un solo caso una locuzione comune viene stravolta: more insolito: ‘disse Fumi pensoso, invitante, tuffandosi di tutta lingua nel cia di Lanciani, more insolito. Ma la canestra delle albicocche era vuota, omai’ (154).
Gadda è infleunzato dai classici latini riflettondosi sulla sua scrittura: Manet sub Jove frigido: ‘Che pesaveno più loro che du rognoni a Natale. «E mo indove so’ annati?» pensaveno. «Che ce lo sa, er cacciatore?» Manet sub jove frigido. A quali nozze ha mai adibito la sposa, la validità carnale e dotale de su’ moje?’ (71), da Orazio; coeli jucundun lumen et auras (187), da Virgilio; non datur casus, non datur saltus (155), da Kant.
Vale la pena qui di notare la lettura presentata da Aldo Pecoraro (1998, 195) di questo brano nel suo scritto su Gadda proponendo che il richiamo al testo del Carmen oraziano sottintenda un’accusa indiretta al Balducci: ‘venator tenerae coniugis immemor’ come recita il verso seguente a quello citato: Gadda quindi richiama la citazione latina non solo per rilevare la bassa materialità dei pensieri del parentado della vittima, ma per comunicare una riprensione non dichiarata al marito che egli aveva trascurato.
Appare anche il latino cristiano: Fiat lux! (167), asperges in nomine Domini (71); o pseudo come: non–confiteor (103). Riguarda al latino scientifico la locuzione plexus haemorroidalis medii (186).
In altri due casi compare il latino epigrafico: nel primo caso, un’iscrizione letta da Liliana durante una visita ad un museo, e da lei non compresa, assume la funzione di chiave di lettura per l’intera esistenza della donna: ‘Evasi, effugi: spes et fortuna valet: nil mihi vobiscum est: ludificate alios»: al museo lateranense: un sarcofago: Liliana aveva ritenuto chella frase: lo aveva pregato di tradurla’ (84).
Il secondo brano assume invece la funzione comica, in cui si vede il carabiniere Farafilio compitare con poco successo l’iscrizione posta nell’edicola dei due Santi, che mette a dura prova le sue capacità di lettura:
Sotto alle figure dei due, nei du cartigli ondeggianti l’un su l’altro in esergo, il tombolotto di Farafiliopetri pervenne a leggere, col dischiudere e richiudere i labbri mutamente, spiccicandoli a pena senza dar parola di fuori: «Crescite vero in gratia et in co... co... cococcione Dò–mi–ni Preti Sec. Ep.» [...] «Saépe,» così lesse il Farafilio, «proposùi venire ad vos et pro–hi–bìtus» (così mentalmente) «sum usque ad kuc Paul ad Rom.» Con che fu certo essersi meritato il diploma: di licenza elementare. (167-168).
si rivela anche un gioco di parole pseudolatineggiante Facta factorum (37), come storpiatura della locuzione sancta sanctorum, con cui si beffeggia al ministro fascista Facta (Matt, 2012:214).
Lo scrittore Roberto Almagioni (2009) ha pubblicato un saggio intitolato “la memoria del latino nella produzione di C. E. Gadda” in cui parla del rapporto tra Gadda e la lingua latina esprimendo il suo parere che il latino per Gadda fosse uno strumento di evasione dalla realtà malinconica, cercando di trovare un mondo nobile e puro. Almagioni vede che lo sperimento latino di Gadda si spezza in corsi di diversa direzione, e non fluisce in un movimento univoco, esponendo una precisa schematizzazione delineatasi in tre linee inconfondibili ma tra loro incrociatesi:
Compaiono anche, in modo discontinuo, espressioni greche, che sono traslitterate o no: ethos (85), epos (14, 19, 34), pathos (61, 85), pragma (73, 122), logos (202), παντα δε πολεμος (83), συμπάθεια (85), εξωτερικό (120).
Neoformazione o neologismo è una parola derivata o composta di recente formazione in una lingua, ad esempio genitoriale da genitore.[7]
Il presente studio intende rispondere all’esigenza di fornire un’analisi esauriente di un fenomeno pervasivo e intricato, quale è quello della creatività neologica di Gadda, che offre una molteplicità di spunti di ricerca, e di ordine linguistico, stilistico e sociolinguistico.
Con uno sguardo piuttosto versatile, che privilegia però in primo luogo una prospettiva di tipo linguistico sostanziata dalle più recenti acquisizioni sull’argomento della creatività lessicale nell’ambito delle diverse branche degli studi di linguistica, si tenterà di proporre un’articolata classificazione su base formale, di tutte quelle unità lessicali in qualche misura interessanti ai fini della ricerca.
Il pastiche linguistico di Gadda è completato da numerose neoformazioni, che non possiamo calcolare, perciò non posso dare conto in modo soddifacente dell’intero repertorio di invenzioni lessicali presenti nel Pasticciaccio; per questo motivo, mi limiterò a citare alcuni esempi, scelti tra quelle che appaiono con ragionevole sicurezza come creazioni di Gadda, sufficienti a dare almeno un’idea dei principali sistemi di formazione delle parole attivati dall’autore.
Sono molto diffusi i suffissati: disingorgativo agg. ‘che libera da un ingorgo’ (222); bersaglierata s.f. ‘corsa’ (189); benemeritardo agg. ‘degno di benemerenza’ (159); pandemonismo s.m. ‘presenza di più entità malefiche’ (200); topaziesco agg. ‘relativo a un topazio’ (209); patateria s.f. ‘l’avere un viso che ricorda una patata’ (193); semaforismo s.m. ‘tendenza di amministratori pubblici a collocare semafori ovunque’ (131).
In alcuni casi si deriva tramite un nome proprio: ingravallesco agg. ‘proprio di Ingravallo’ (11); doncicciano agg. ‘proprio di don Ciccio (Ingravallo)’ (11); federzonite s.f. ‘tendenza del ministro Federzoni a imporre norme severe per la salvaguardia della moralità pubblica’ (74).
Non sono assai comuni i prefissati: increduto agg. ‘che non si può credere’ (196); devestizione s.f. ‘lo spogliare’ (127); dispiccicare v.tr. ‘staccare fuori’ (85); tripotente agg. ‘che ha un triplice potere’ (62). Notabili anche i composti ricavati attaccando il prefisso iterativo ri– ad un sostantivo: rinodo s.m. ‘nuovo nodo’ (195); ribega s.f. ‘nuova bega’ (58).
Sono molto frequentissimi anche i parasintetici: avvinellato agg. ‘caratterizzato da una bevuta di vino’ (127); accileccare v.tr. ‘mettere in difficoltà’ (4); depentolato agg. ‘tolto da una pentola’ (139); disillibarsi v.intr.pron. ‘perdere la verginità’ (128), disillibatore s.m. ‘chi fa perdere la verginità’ (128); dekirkegaardizzare v.tr. ‘privare di un’aura esistenzialista’ (122); infiascabile agg. ‘che si può dare a bere’ (196); detopaziato agg. ‘derubato di topazi’ (156).
Assai numerosi i composti grosso modo simile quelli formati da due basi italiane: domicilioaggredito agg. ‘che ha subito un’aggressione in casa’ (156); cortovestito agg. ‘che indossa un vestito corto’ (167); slogamascelle agg. ‘che porta allo slogamento delle mascelle’ (170); e sono rari quelli che combinano un confisso di origine classica con una parola italiana: cancherologia s.f. ‘oncologia’ (88); bananifero agg. ‘che porta banane’ (197); criptorutto s.m. ‘rutto che viene trattenuto’ (158). Assai pochi anche i composti formati da due confissi, il cui significato si capisce dalle locuzioni idiomatiche alle quali accennano: cinobalanico agg. ‘approssimativo, da cialtrone’ (73); capillotomico agg. ‘eccessivamente minuzioso’, da spaccare il capello in quattro’ (155).
Si rintracciano con frequenza i participi presenti con funzione aggettivale: premeditante (109), sonnecchiante (154); ammanettante (130); racchetante (134). Capita anche che il participio ricavato da un verbo inesistente: cannocchialante (214).
Un altro caso comune nelle opere gaddiane e anche nel Pasticciaccio è l’esistenza del modello della fusione di due vocaboli per mezzo di un trattino, si possono ritrovare alcune tipologie ricorrenti di «costruzioni giustappositive» come le definisce Roscioni (1995, 11).
Matt (2012:210-211) vede che le fusioni di sostantivi sembrano rispondere a tre tipi di accostamento semantico: Il caso più semplice prevede che i due termini indichino elementi o qualità che si riuniscono (lo schema logico è quindi “X e Y”), ad esempio: duodeno–fegato (87), baritono–soprano (19), polizzia–carabinieri (116), moralità–individualità (85), manucaptazione–prolazione (123), felicità–facilità (195), papaverina–eroina (101), pantaloni–giacca (165), sollecitudine–devozione (15); in un’occasione, il ‘corto circuito lessicale’ coinvolge tre sostantivi: derubanda–sevizianda–iugulanda (16) (Contini, 1989:22).
Il secondo ed il terzo caso prevedono un rapporto più stringente tra i due termini, schematizzabile con la formula “X è anche Y”: camera–studio (86), collega–avversario (118), cacciatore–viaggiatore (100), teriezioni–invocazioni (15), Idea–Pollice (144), dei–bestie (180), recuperatore–salvatore (198), bottega–laboratorio (157), maestra–sarta (158), maga–tintora (127), pollo–campione (119), sposo–studente (110), sarta–sibilla (124), radioamatore–pescatore (203), laboratorio–bettola (122), studente–sposo (110), superbrigadiere–centauro (133), referto–sintesi (105), preti–stregoni (180), piscina–trappola (220), valore–lavoro (196); oppure con la formula “X è come Y”: centauro–saetta (130), locomotore–pialla (131), maresciallo–diavolo (214), occhi–gemme (121), occipite–jungla (221), sfilatino–scarpa (134). Altri due casi eccezionali sono maremmano–spinone (187), in cui i due termini costituiscono gli elementi di un ibrido, e crepuscolo–alba (87), il cui schema logico è “X causato da Y” (e traducono la parola macedonia maremmone, certamente coniata da Gadda) (cfr. Matt, 2012:211-212). Un caso a parte è topo– topazio (162), forma inserita nella rievocazione di un sogno del brigadiere Pestalozzi, in cui il gioco di parole è alla base della costruzione immaginaria del sogno.
Meno frequente è l’adesione di aggettivi, quasi tutti rispondenti allo schema più semplice, “X e Y”: monosillabico–agglutinante (180), aspirante–espirante (80), ossequienziale-scaricabarilistico (62), ammogliati–brustolati (82), trubadorico–mandrillico (231), ipocarducciano–iposàffica (131), politico–totalitario (131). L’unica eccezione è quella di ipotiposi digito– interrogativa: ‘Amico, che amico! amico ‘e chi?» Raccolte a tulipano le cinque dita della mano destra, altalenò quel fiore nella ipotiposi digito-interrogativa tanto in uso presso gli Apuli’ (39), bizzarra definizione per un gesto che attraverso l’uso delle dita funge da domanda.
Capita anche in alcune espressioni pseudoscientifiche che gli aggettivi fusi tra loro possano essere anche tre o quattro, ed esempio: linguatico–palatali–faringo–esofagici (37); cloro–bromo–jodica (220).
Un atro caso caratteristico del Pasticciaccio e della maggioranza delle opere di Gadda, è quello degli alterati,[8] considerato un tipo di infrequenza lessicale. Ecco un gruppo di forme atipiche, brobabilmente frutto dell’inventiva di Gadda: baffosetti (216), codonzolo (220), cavolazzo (124), carezzaccia (12), affrescone (165), bugiole (195), cannarelle (201), ciabattazze (221), cupidoni (149), cioccolatinone (173), bafficci (87), caffettieruzza (222), cannòlo (234), catenaccino (222), caramellozza/–e (195, 197), ditonzoli (165), ditoncello (166), facciazza (188), frustataccia (213), gingilluccio (196), farabuttelli (122), ferraioletti (165), linguacciotto (171), liruccia (123), maritone (7), maramalduccio (54), nasazzo (28), occhierugioli (32), orticolo (191), pitalaccio (194), peptoncello (133), polpettuola (158), pitalone (193), remunerazioncella (149), ragionieretto (57), sbadigliaccio (215), sfilacciatella (155), spumiccia (42), stradiccia (130), stagionatuzza (74), singhiozzuccio (152), strizzatona (149), tartufone (63), stufone (115), temporalino (12), tontarella (43), testoncello (224), torroncello (225), trenetto (229), virgoluccia (105).
Un altro caso, indippendentemente, rappresentato dalle coppie di vocaboli cromatici, un vero e proprio tratto distintivo della prosa gaddiana. Possono essere due (o tre) termini fusi, indicanti colori diversi, che coesistono nell’oggetto descritto, ed esempio: verde–nero (117), olivastro–bianco (120), abbronzato–rosso (129), verdolino–azzurro (51), bleu–nero (129), bianco–azzurrini (216), avorio–paglia (220), grigio–argento (200), grigioverde–nero–argento (186).
Altre volte il secondo membro della coppia determina con più precisione la tonalità indicata dal primo, ad esempio: giallo–bruno (233); verde–bruno (16); verde–stinta (124); o presenta un termine di paragone: giallo–paglia (221); bigio–topo (196), verde–cenere (203). Meno frequentemente si dà il caso di univerbazione grafica: rossoverdi (137), gialloverdi (220).
Occasionalmente, ad essere uniti sono verbi: nevicando–piovendo (17); o avverbi: legalmente–militarmente (183).
Va notata nel Pasticciaccio l’esistenza di un certo numero di pseudodialettismi, o neoformazioni su base dialettale (come cucchiarasse ‘prendere col cucchiaio’: ‘Don Ciccio si cucchiarò in bocca la magra minestrucola’ (133) e magnaro: ‘intrappolate a vite con tutta la lor ciccia nei vortici della gran fiera magnara’ (220). Sono parole che convergono a tutti gli effetti alla rappresentazione degli ambienti romani (Matt, 2006:81).
Scopo di questo studio era cercare di far emergere gli aspetti linguisitici del plurilinguismo nel Pasticciaccio un romanzo poliziesco in cui l’ambiente dove si consumerà il delitto è una periferia di Roma. I personaggi di Gadda non erano tutti uniformi; ognuno aveva la sua maniera di parlare, la sua storia, il suo linguaggio, e in seguito, la sua propria realtà.
Linguisticamente e stilisticamente, il modello del Pasticciaccio pare comunque, almeno a giudicare dai fatti, eccezionale; e la più interessante sperimentazione gaddiana e un rappresentante assai espressivo dell’attività plurilinguistica della letteratura italiana.
Cerco di sottolineare le conclusioni alle quali sono riuscita ad arrivare:
- Nel Pasticciaccio sono presenti diverse forme e maniere caratterizzate ognuna da un suo stile. Include mescolanza in modo frequente, confusioni degli stili, coesistenza del triviale e dell’aulico, del tragico e del comico nella stessa frase, nella stessa pagina.
- Nella sua pagina si affollano i più vari elementi. Non c’è solo dialetto, ma una varietà: romanesco, napoletano, molisano, fiorentino e milanese.
Abbiamo notato l’uso particolare gaddiano del dialetto nel Pasticciaccio: il dialetto fluisce dall’ambito del discorso e infiltra di nuovo la narrazione. Pare che il narratore immetta improvvisamente delle frasi in dialetto. Il dialetto è più emotivo, e espressivo, che la lingua standardizzata e la lingua letteraria. Gadda ha dato ai lettori un’altra prospettiva della lingua letteraria italiana ribaltando le regole, i codici e le strutture stabilite formano una realtà maggiore, più fertile e più espressiva, adoperando più forme per liberare la loro fantasia. Con l’uso metodico dei dialetti viene distinta la parlata dei personaggi, ovvero si rifletteva il punto di vista di chi osserva la scena in discorso indiretto. I dialetti vengono usati anche nel discorso del narratore ma per descrivere il personaggio che appare sulla scena.
Relativamente i dialetti a volte corrispondano a quelli ipotizzati come nativi dei personaggi, non si tratta soltanto di un uso mimetico: accanto ad effettuare una funzione antiretorica contro l’italiano vuoto e ridonante del fascismo, i dialetti interagiscono con il linguaggio letterario, creando un singolare pastiche.
Ho studiato gli altri elementi principali del plurilinguismo del Pasticciaccio esaminando i termini latini e greci, i tecnicismi, i forestierismi, le neoformazioni. I codici linguistici che si intricano sono usati a livello alto ed è facile di perdersi tra i linguaggi usando tanti registri e neologismi inventati da Gadda. Il plurilinguismo nel Pasticciaccio rappresenta un portavoce della pluridiscorsività sociale, della moralità, dell’opinione dell’autore sulla società, sulla politica e sulla religione. Gadda voglia cogliere la vita fino in fondo, ponendo dunque la sua attenzione all’uomo “concreto” e al suo posto nel mondo, alle sue vicende ed episodi quotidiani in tutti i loro aspetti, comportamentali, psicologici, linguistici.
[1] Gli esempi tratti dal romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (edizione Pdf del 1957), Aldo Garzanti Editore, I Grandi Libri Garzanti.
[2] ‘Un proverbio intende che: all’uomo non manca la bellezza; la squisitezza delle forme è ultimo pregio nell’uomo’.
[3] La frase in milanese sposta la focalizzazione in direzione dell’autore.
[4] Cfr. G. C. Gensini, I medici e le parole, disponibile a http://www.giorgiofontana.net/alessia/ unpassoavanti/medicina/I%20medici%20e%20le%20parole.pdf.
[5] (cfr. Cabré 1998: 126).
[6] Cfr. http://www.treccani.it/vocabolario/forestierismo_%28Sinonimi-e-Contrari%29/. (Aprile 3, 2019).
[7] Cfr. www.treccani.it ( Marzo 5, 2019).
[8] (Ling.) si dice di nome o aggettivo derivato da un altro nome o aggettivo per mezzo di un suffisso che di norma ne modifica il significato nella qualità, nella quantità, nel tono (p.e. gatto: gattaccio, gattone, gattino; bello: bellino, belloccio): i diminutivi, gli accrescitivi, i peggiorativi e i vezzeggiativi sono degli alterati. Si veda a https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=alterato, (Febbraio 10, 2019).
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