L’amore per la figura femminile tra Dante Alighieri e Ibn Arabi

Document Type : Original papers

Author

Badr University in Cairo

Abstract

In this study the concept of love is discussed by comparing two great authors of completely different backgrounds: the great poet and father of the Italian language Dante Alighieri (1265- 1321) and the philosopher, Sufi mystic and Arab poet the Andalusian Ibn Arabi (1165-1240). Thus, the present study is an attempt to touch on the common points that bind the two authors despite the diversity between the two socio-historical contexts from which they come. For both love is an essential component in their thinking and philosophy, they have experienced the feeling of love with all its details; for Dante the meeting with Beatrice, in fact, becomes the turning point of his human and poetic maturation, his life is, from this moment, renewed by love; Ibn Arabi's definition of love is as concise as it is profound: "love is a little death". The meaning is precise: "by practicing life we ​​also practice death. If we are in contact with the vitality of our body, if our life is abundant, love always appears. If on the contrary our life is flat and we have fear we are already a little dead, even if we breathe.” When Dante thinks of love, Beatrice appears as a reflection of God and leads him to God in Paradise. Ibn Arabi sees love for Nizam, a love for God, According to him God created beauty and if we love something for its beauty, so we love only God.

Keywords

Main Subjects


 

ella letteratura italiana medievale la figura della donna è stata sempre messa al centro dell’attenzione perché è considerata fonte di saggezza e di ispirazione dei poeti. L’amore ha rappresentato uno dei temi fondamentali della poesia di tutti i tempi e non c’è stato poeta che non l’abbia trattato. Esso ha una grande importanza nella letteratura europea, in generale e in quella italiana in particolare. I primi scrittori e poeti che hanno trattato il tema dell’amore in poesia e prosa volgare sono i padri della letteratura italiana: Dante, Petrarca e Boccaccio. La poesia araba pure ha trattato il concetto d’amore per la figura femminile, ma qui la domanda sarà che essa l’abbia trattato nello stesso modo della letteratura italiana oppure in un modo diverso? Per rispondere a tale domanda si discute, nel presente studio, il concetto d’amore per la figura femminile mettendo a confronto due grandi autori di appartenenza completamente diversa: il grande poeta e padre della lingua italiana Dante Alighieri (1265 – 1321) e il filosofo, mistico sufi e poeta arabo andaluso vissuto a cavallo tra il 1100 ed il 1200, la cui opera influenzò generosamente il pensiero occidentale oltre a quello orientale Muhyi al-Din Ibn al’Arabi· (1165-1240), chiamato lo  Šayḫ al-Akbar, più noto con il nome di Ibn ‘Arabi che da molti è considerato il padre della mistica islamica e da altri nemico dell’Islam.

Per entrambi l’amore rappresenta una componente essenziale nel loro pensiero e nella loro filosofia: per Dante l’incontro con Beatrice, la sua ispiratrice, infatti, diventa il punto di svolta della sua maturazione umana e poetica, la sua vita è, da quel momento, rinnovata dall’amore. Con Beatrice, Dante non ebbe una vera storia d’amore, ma vive piuttosto un amore platonico. Con Dante abbiamo una visione dell’amore come sommo sentimento che può donare la massima felicità all’uomo. All’età di nove anni, Dante incontra Beatrice per la prima volta e così diventerà il centro della sua esistenza. Nella Vita Nova Dante scrive:


     “Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare./ Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono.  …”[1]

Malgrado la sua giovane età, Beatrice non appare descritta da  bambina, ma vengono messe alla luce le sue qualità femminili di dignità, onestà e dolcezza evidenziate dal colore rosso del suo abito:

“Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia”.[2]


Fin dall’infanzia Dante si sente spinto dall’amore a cercare Beatrice per contemplare la sua bellezza che non sembra appartenere al genere umano, ma di origine divina. Infatti attraverso l’amata Beatrice, Dante spiega e completa la figura della donna-angelo proposta dallo Stilnovo: Beatrice è cosὶ bella da sembrare scesa dal cielo; la sua andatura è divina poiché, cammina leggera tra la gente che rimane senza fiato davanti a tanta bellezza. Amandola, l’innamorato, diventa più nobile e si avvicina a Dio:


«D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a lui disponsata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria per la vertù che li dava la mia imaginazione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente. Elli mi comandva molte volte che io cercasse per vedere questa angiola giovanissima; onde io ne la mia puerizia molte volte l’andai cercando, e vedeala di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero: “Ella non parea figliuola d’uomo mortale, ma di deo”.[3]

Nella Vita Nuova, Beatrice è una figura angelicata. Nella Divina Commedia, in quanto guida del mondo degli uomini al mondo dei Beati, Beatrice appare sotto l’immagine oscillante fra la donna e l’angelo, anzi alle due figure si superpone una sola persona alla volta: donna e angelo; sentimento e ragione, simbolo e realtà s’immischiano insieme.
Un angelo giovanissimo sparito troppo presto fa emergere l’ingegno, l’amore e la poesia di Dante. In effetti, Beatrice non e`un’idea, un simbolo dell’arte ma una creatura vivente che è formata alla fede del poeta. Nella Divina Comedia Beatrice guida Dante:


“A le quai poi se tu vorrai salire,/anima fia a ciò più di me degna:/con lei ti lascerò nel mio partire”[4]
Al percorso della Sapienza, ella gli mostra il modo “d’accedere al monte” dove “è l’uomo felice”.[5]

Prima di tutto, rivediamo il viaggio nonché le caratteristiche di ogni tappa del viaggio del poeta. L’Inferno è una “selva oscura” in cui si nascondono tanti paure e rischi:


“Nel mezzo del cammin di nostra vita /mi ritrovai per una selva oscura,/ ché la diritta via era smarrita./ Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/ esta selva Selvaggia e aspra e forte/che nel pensier rinova la paura !”[6]


Il Paradiso è l’oltremondo che non permette l’esistenza di turbamenti e quindi, per Dante, Beatrice è l’unica persona che può entrare in questa terra divina e gli permette di accedere al paradiso e alla contemplazione di Dio. La Grazia di Dio è incarnata da Beatrice che porta Dante alla salvezza:


“Ma perchè piene son tutte le carte/ordite a questa cantica seconda,/non mi lascia più ir lo fren l’arte./lo ritornai da la santissima onda/rifatto si come piante novelle/rinovellate di novella fronda,/puro e disposto a salire a le stelle”.[7]

Quindi l’amore accompagna tutta l’opera a partire dalla scritta nella porta dell’inferno, è il sommo amore infatti che ha creato questa realtà ordinata che Dante si appresta a percorrere ed è l’amore il punto conclusivo del viaggio tramite l’incontro con Beatrice e con Dio stesso.

L’amore per Ibn ‘Arabi infatti è l’invisibile per eccellenza, intorno al quale ruota l’intero pianeta. Infinite le sue declinazioni: amore carnale, amore fraterno, amore per i genitori, per i figli, per la natura, per gli animali, per il lusso, per la fama, per il potere, eccetera. La lista è inesauribile. Tuttavia, definire razionalmente l’amore è un’impresa impossibile. Quando l’amore coinvolge un altro essere vivente, le cose si complicano.

Tutto quanto riguarda l’amore è assolutamente invisibile, eppure partecipa in modo intimo e decisivo all’esistenza umana. Non a caso Henry Corbin, uno dei più autorevoli conoscitori di Ibn ‘Arabi, ha definito il suo impianto filosofico una “metafisica dell’amore”. Per lo Šayḫ al-Akbar, infatti, le due dimensioni (visibile e invisibile) sono interconnesse e inseparabili, formano un unicum imprescindibile. Il sé spirituale corrisponderebbe all’individualità archetipica, all’individuazione latente nel mondo del Mistero, che il filosofo chiama anche Spirito, o Angelo. Scoprire il proprio Angelo, ovvero la propria personale eternità, equivale dunque a ritornare al proprio Dio, trovare l’Essenza divina unica e insostituibile che ci appartiene e ci contraddistingue. Per questo conoscere sé stessi significa, in ultima analisi, incontrare Dio, ovvero ridiventare “interi.” Qualunque consapevolezza che non contempli l’incontro con l’Angelo archetipico, dice Ibn ‘Arabi, non è degna del nome che porta: è parziale come un corpo senza testa. Così come la fede che prescinde dalla dimensione interiore è destinata a degenerare nell’imperialismo spirituale: la ricerca del Signore-archetipo verrà in quel caso sostituita dall’imposizione dogmatica di un Signore impersonale e omologato.[8]

Il linguaggio del Mistero non può che essere simbolico, e i simboli non si discutono, si decifrano. Solo ciò che non rivela nulla non ha bisogno di interpretazione, mentre ogni profezia richiede un’ermeneutica (ta’wil). Racconta Ibn ‘Arabi:“da questo nasce la mia abitudine a pensare per simboli: le cose del mondo invisibile hanno per me più attrazione di quelle della vita presente.”[9]

Ibn ‘Arabi fu stato preso da Nizan, la sua donna amata e nel suo amore ebbe scritto il suo libro “Torgoman El Ashwaq” considerato da alcuni salafiti un libro che rovinò la storia dello Šayḫ al-Akbar perché Ibn ‘Arabi, in quel libro, scrisse della sua donna amata in modo esplicito e perciò egli, per difendersi, scrisse un altro libro intitolato “ذخائر الأعلاق فى شرح ترجمان الأشواق” come un’interpretazione di quel libro.

Dante e Ibn ‘Arabi vedono che l’amore è uno strumento di scoperta interiore capace di elevare spritualmente l’essere umano. In questo ambito ogni autore ha un suo particolare modo di realizzare tale visione dell’amore e qui sarà il mio obiettivo di gettar luce sui punti in comune e quelli divergenti partendo sempre dall’amore per la figura femminile.

L’amore per Ibn ‘Arabi e come una religione, ma qui s’intende l’amore nel senso più profondo e sacro, con l’amore il suo cuore va per ogni senso, può assumere ogni forma e accetta l’altro. Il cuore è infatti il teatro dove avvengono le teofanie, organo capace di superare i fuochi delle divergenze per fiorire miracolosamente nell’amore divino. La fede diventa così il cammino verso il sacro interiore, alla scoperta del volto divino di ogni essere:


( لقد کنت قبل اليوم أنکر صاحبى

إذا لم يکن دينى إلى دينه دانى

لقد صارَ قلـبى قابلاً کلَ صُـورةٍ

فـمرعىً لغـــــزلانٍ ودَيرٌ لرُهبـَــــانِ

وبيتٌ لأوثــانٍ وکعـــبةُ طـائـــفٍ

وألـواحُ تـوراةٍ ومصـحفُ قــــــرآن

أديـنُ بدينِ الحــــبِ أنّى توجّـهـتْ

رکـائـبهُ، فالحبُّ ديـنى وإيـمَانى.)[10]

L’effetto dell’amore in Dante è diverso: esso crea sofferenza e tormento:

Spesse fiate vegnonmi a la mente

 le oscure qualità ch'Amor mi dona,

e venmene pietà, si che sovente

io dico: "Lasso!, avviene elli a persona?";

ch'Amor m'assale subitanamente,

 sì che la vita quasi m'abbandona:

 campami un spirto vivo solamente,

 e que' riman perché di voi ragiona.

Poscia mi sforzo, ché mi voglio atare;

 e così smorto, d'onne valor voto,

vegno a vedervi, credendo guerire:

e se io levo li occhi per guardare,

 nel cor mi si comincia uno tremoto,

 che fa de' polsi l'anima partire.[11]

فى أغلب الأحيان .. يخطر على ذهنى الظلم الذى يحيق بى من الحب .. فأشعر بالشفقة، حتى أنى فى کثير من الأحيان أقول: "وأسفاه! هل يبتلى أحد به"؛.. يهاجمنى الحب على حين غرة، .. حتى تتخلى الحياة عنى: .. فلا تنجو منى إلا روح حية واحدة فقط،.. تنجو فقط لانها تفکر فيک.. ثم استجمع قواى ساعياً إلى الغوث؛.. وعلى هذا الحال من الإنهاک وانعدام الشکيمة .. آتى لأراک، ظناً أن رؤيتک ستشفينى..فإذا بى وأنا أرفع عيناى لکى أنظر إليک، .. تنطلق فى قلبى رجفة.. تدفع الروح لتغادرنى من نبضى.[12]

Per Ibn ‘Arabi la definizione dell’amore è tanto sintetica quanto profonda: “l’amore è una piccola morte”. Il senso è preciso: “praticando la vita si pratica anche la morte, se siamo in contatto con la vitalità del nostro corpo, se la nostra vita è abbondante l’amore si presenta sempre. Se al contrario la nostra vita è piatta e abbiamo paura, siamo già un pò morti, anche se risperiamo. Tale amore è l’amore spirituale, intellettuale e fisico. Tutto è uno. Gli amori finiscono, muoiono: e il significato dell’amore paradossalmente lo prova soltanto chi ha provato la sua perdita, una piccola morte, appunto. Così è la vita, che va di piccola morte in piccola morte, da innamoramento in innamoramento. La vita è amore, per gli amici, per una donna, per un uomo, per un animale, per ogni creatura, e per ogni elemento, per l’Universo” “La Natura è respiro di Dio e per Ibn ‘Arabi, il fine dell’uomo consiste nell’unirsi misticamente a Dio nell’Amore. Amore come unione con il divino e come piacere, come preghiera e come orgasmo: entrambi infatti sono un abbandono totale al sé, all’Energia, all’Amore”[13]

Tutta la vita ruota intorno all’amore. Tale amore non si pesa, non si tocca, non si misura. Non ha un colore, una forma, un sapore. Le sue leggi sono vere solo fino a prova contraria, e non si traducono né in formule, né in equazioni. Al contrario, il suo linguaggio è poetico, musicale, artistico, simbolico. L’amore sfugge ogni definizione. Esso stupisce sempre, trasforma, ammala e guarisce, cioè fa miracoli.

Anche per Dante l’amore e il cuore sono una cosa unica, nessuno può fare a meno dell’altro:

Amore e 'l cor gentil sono una cosa,

sì come il saggio in suo dittare pone,

e così esser l'un sanza l'altro osa

 com'alma razional sanza ragione.

Falli natura quand'è amorosa,

Amor per sire e 'l cor per sua magione,

dentro la qual dormendo si riposa

 tal volta poca e tal lunga stagione[14]

الحب والقلب الرقيق شىء واحد.. هکذا يقول الحکيم فى شعره.. والواحد دون الآخر يصبح هباء .. مثل الروح العقلية دون عقل .. الطبيعة عندما تکون محبة.. تتخذ الحب رباً لها، والقلب لها بيت .. يستريح فيه وينام .. قليلاً أحياناً وکثيراً أحياناً.[15]

La donna tra una figura sterotipa e un’altra divina:

Le donne nel Medioevo sono fisicamente deboli e moralmente fragili e sono viste come esseri da proteggere sia dagli altri che da se stesse. Nobili, lavoratrici cittadine, o religiose di un convento sono sottoposte alla sorveglianza e guida degli uomini. Non potevano sostenere un’attività in proprio, neanche dopo una vedovanza, infatti l’universo femminile era limitato dalla legge della corporazione, la quale stabiliva che ogni amministrazione doveva essere integrata da un uomo.

Nel mondo dantesco e quello di Ibn ‘Arabi, è cambiata totalmente la figua della donna. Nel mondo dantesco, essa viene rinnovata anche la figura della donna-angelo che viene allontanata dalla semplice bellezza esteriore, e a cui viene riconosciuta anche la virtù della nobiltà interiore, che fa assomigliare a Dio al punto di darle la capacità di innalzare spiritualmente coloro che l’amano. La donna diventa, così, colei che è stata mandata “da cielo in terra a miracol mostrare”, cioè una creatura angelica inviata da Dio sulla terra per ricondurre gli uomini al bene.

Molte sono le figure femminili all’interno della Divina Commedia, dall’ Inferno al Paradiso è possibile trovare una serie di donne che vengono usate dal Poeta per raccontare i vari aspetti dell’amore. Nella poetica dantesca la donna è indissolubilmente legata all’amore, il sentimento amoroso pervade la vita delle figure femminili presentate da Dante, negativamente quando si tratta di amore puramente sensuale, in modo positivo quando tramite l’amore della Donna l’uomo può arrivare alla beatitudine.

La figura femminile che ha più colpito l’immaginario collettivo ed è diventata ben presto riferimento per poeti ed artisti è quella di Beatrice, amata platonicamente da Dante per tutta la sua vita, musa ispiratrice e centro dei suoi pensieri più elevati.

Nella vita di Ibn ‘Arabi ci sono tante donne che hanno una grande influenza sulla sua maturazione tra cui, in primo luogo, sua madre “Nour” e poi le sue maestre Fatema e Shams poi alla fine Nizam, la sua donna amata. Ibn ‘Arabi vede la realtà umana come unica in tutti gli esseri umani, uomini e donne. Entrambe i sessi sono uguali rispetto alla propria natura, e questa è la loro origine. La mascolinità e la femminilità sono “stati circostanziali” nell’essenza umana. Così afferma: “L’umanità unisce uomini e donne ed in essa la mascolinità e femminilità sono contingenze, non la realtà umana”[16]Si dice anche:Eva è stata creata da Adamo, così lei ha due condizioni (hukm): quella dell’uomo in virtù della sua origine, e quella delle donne, in virtù della contingenza .”[17]Sulla base di questa uguaglianza in quanto esseri umani, le donne sono qualificate per lavorare nelle stesse occupazioni degli uomini, e possiede la capacità di praticare tutte le attività intellettuali e spirituali.

Per contrastare l’immagine stereotipata storicamente la debolezza naturale della donna, Ibn ‘Arabi descrisse a tutti per il loro potere: “E non vi è creatura più potente dell’universo della donna, ogni angelo che Dio ha creato dal respiro (Anfas) delle donne è il più potente degli angeli ”[18] . Ibn ‘Arabi va anche oltre nel dire che gli uomini e le donne condividono le fila di santità, tra cui il Polo (Qutb).[19]

Ma qual’è questo rango superiore aperto alle donne? E che cosa significa per una donna di essere il “Polo” agli occhi di lo Šayḫ al-akbar?

Per rispondere a questo possiamo dire che, una volta Polo, la donna diventa la padrona del momento, maestra del tempo, vicario di Dio sulla Sua terra, rappresentante dell’inviato nella comunità, destinata ad essere scelta, nascosta e ad acquisire la distinzione adamitica[20]. Il mondo gira intorno ad essa[21]: “Essa ha il suo governo e le esigenze del mondo intero poggiano su di essa. Dio è con lei in solitudine, senza il resto della Sua creazione, e Lui non vede nessuno tranne lei nel suo tempo. Lei è il velo più alto”. [22] Alla presenza di mithal Dio erige per lei un trono dove la fa sedere e Dio stesso le concede tutti I Nomi Divini dell’universo. Quando siede sul trono nella Divina Immagine, Dio ordina all’universo di giurarle fedeltà e di renderle omaggio. Tra i suoi sudditi si trovano tutti gli essere umani, alti e bassi, tranne gli angeli più elevati, che sono persi di amore e gli eccezionali dell’umanità, sui quali lei non ha alcuna autorità, perché come lei sono perfetti, con l’attitudine per la quale ha ricevuto il Polo.[23]

Ibn ’Arabi si oppone a coloro che rifiutano il riconoscimento della santità (Wilaya) alle donne e lo limitano agli uomini. Ripete in un passaggio, dopo aver affermato in modo inequivocabile che le donne possono, infatti, raggiungere la stazione di Polo: “E non lasciatevi ingannare dall’affermazione del Profeta (S.a.w.s) : non prospereranno coloro che danno la sovranità alle donne”, perché stiamo discutendo la sovranità data da Dio, non la sovranità data dal popolo e l’affermazione si riferiva alle persone che concedono la sovranità. Poteva non aggiungere altro al riguardo, ma il Profeta (S.a.w.s), disse: Le donne e gli uomini sono fratelli (Shaqaîiq), e questo sarebbe stato sufficiente per tutto”. Questo vale a dire che tutto ciò che raggiunge l’uomo in termini di stazioni, gradi, è anche possibile per qualsiasi donna che “Dio desideri”. [24]

Pertanto, l’essenza di uomini e donne come “fratelli” è stata la base su cui Ibn ’Arabi ha affermato che un fratello è un simile, uguale e allo stesso livello. Come risultato, la donna è uguale all’uomo, nell’attitudine per la stazioni di santità.

Il limite che restringe la donna, e che lei non può superare, è quello di inviata e della missione profetica (Risala wa-Ba’th).

Ibn ‘Arabi, dice che la donna condivide il grado di perfezione dell’uomo e che l’uomo è abbellito da una perfezione superlativa: quella di inviato e della missione profetica[25]. In questo senso, lei &egra