Napoli tra passato e presente in "Ferito a morte" di Raffaele La Capria

Document Type : Original Article

Author

MA Helwan University, Italian Department

Abstract

It’s about the city Naples before the second world wide war in the past and in the modern time till period after the war, throw the story of the neapolitan young man Massimo De Luca who left the city and went to live in Rome, because in Naples he was not able to find a job, also because of the changes that had happened to the city. In the past it was one of the most Mediterranean cities, with his blue and magnificent sea, the clearness of the sky, but because of the war 1939-1945 the city was destroyed, no more wonderful villas, just buildings with 18 floors, the sea changed his color and become a grey one, for all of this reasons Massimo wants to leave the city, not mentions that Achille Lauro whom was one of the leaders that contribute to make the city in it’s worst aspects. In the end Massimo left Naples, but it was one of the hardest decisions that he made ever in his life.

Keywords


affaele La Capria, scrittore e sceneggiatore napoletano nato nell’ottobre del 1923 a Napoli, da una famiglia della media borghesia, si è laureato in Giurisprudenza nel 1947, poi si è trasferito a Roma nel 1951 per lavorare alla RAI. La Capria nel 1951 aveva scritto il suo primo romanzo "Un giorno di Impazienza" poi ha scritto "Ferito a morte" che parla di Napoli nel secondo dopoguerra, e tratta il problema dell'emigrazione dal Sud al Nord di Italia e il silenzio della classe borghese dirigente. Con quest’opera, La Capria ha vinto il premio Strega come il miglior romanzo. "Ferito a morte" racconta Napoli dal punto di vista di un giovane napoletano che aveva deciso di lasciare la sua città amata per lavorare a Roma, le problematiche del protagonista e le difficoltà che lui stava affrontando per lasciarla. Nel 2001 La Capria ha vinto il premio Campiello alla carriera.

La città di Napoli è una delle più belle città italiane, dove il mare era pulito, sereno, azzurro, acqua trasparente, dove si poteva vedere il percorso dei pesci sott'acqua, dove anche il cielo era blu con il panorama del Vesuvio. Una città di cui tutti si innamoravano a prima vista. Era difficile per la partenza di Massimo , siccome era molto legato alla sua città, dove c’era il mare azzurro, la bellezza naturale, ma la è cambiata: il mare era diventato grigio, privo di vita, il sole era nascosto dai grattacieli costruiti dagli ingegneri che avevano mal modernizzato la città. Era il periodo del Boom Economico degli anni cinquanta e sessanta e la conseguente euforia aveva contagiato Napoli e di questa si erano manifestate forme nauseanti.

Il cielo era pieno di aerei che passavano altissimi lasciando una sottile scia di fumo; i grattacieli erano come quelli di NewYork insieme a dei palazzi bruttissimi. Le ville erano scomparse ed altre erano state abbandonate; i Caffè erano spariti e al loro posto c'erano degli autosaloni.

Massimo aveva assistito a questa decadenza nel mondo della giovinezza. Le persone erano cambiate, erano ormai segnate dalla delusione, dalla noia e dalla malinconia.

Egli paragonava tutto: la natura, la Storia, la città, il tempo, Carla Boursier la sua amata, Ninì suo fratello, Sasà e gli amici, trovando una grande differenza tra il passato e il presente: tutto aveva un aspetto malinconico.

"[…] Ritrovai i vecchi compagni, vinti e invecchiati Sasà che resiste tutto e diventa eccezione e una città che non riesce più a riconoscere. Fascinazione paterna della sua classe, della sua bellezza, della sua irresponsabilità".[1]

Le tragedie che avevano trasformato la società e la cultura di Napoli, la graduale perdita dell'identità napoletana, aveva anche causato un cambiamento profondo e strutturale della relazione tra uomo e natura e aveva stravolto anche il modo in cui l'uomo poteva guardare alla vita e alla storia. Quindi il passato era vissuto come un problema e, da questo punto, è nata la "Vecchia Napoli". [2] Il passato era stato distrutto e non è più come prima. I residui erano:

"Le macerie, le rovine, i relitti, i resti "[3]

La depressione politica di Napoli, conseguenza dei benefici tra gli anni 33 e 40 e della mobilitazione, opere pubbliche realizzate con lo scopo di creare uno stile modernistico delle strutture urbanistiche e problemi dei ceti popolari che erano costretti dopo ad emigrare in periferia.[4]

Napoli era considerata una città che aveva sempre avuto una posizione controversa nella storia di Italia. Tale posizione storica era speciale visto che era stata occupata da tante nazioni: spagnoli, francesi, .. ecc. Si potevano trovare le tracce di queste occupazioni in città, per esempio nei palazzi costruiti dall'occupazione spagnola, come il celebre palazzo Donn'Anna, edificato nel 1643 dal Viceré che governò Napoli in quei tempi.

 Era uno dei centri europei dell'Illuminismo, anche nelle piccole periferie, perché conobbe dei grandi nomi come Vico, Giannone, Filangieri, Genovesi e tanti altri. Questi erano chiamati “Spiriti forti", quindi la città aveva così grande valore, però man mano tutto ciò aveva cominciato a perdere la sua Armonia, diversificandola dal suo passato glorioso:

         “Il 1799 napoletano per La Capria è un anno fatale, di quelli che nella storia fanno parlare l'umanità di un prima e di un dopo. Era un anno prima del quale tutto appariva possibile per la città che, in questo secolo, era uno dei centri europei dell'Illuminismo e, anche dalla periferia, con i suoi Vico, Giannone, Filangierei, Genovesi e tanti altri " spiriti forti" - dialogava con quello che in Occidente era il pensiero più robusto.[...] Fu qui, dice La Capria, che Napoli perse l'Armonia. Si aprì una ferita terribile che né il pur vicino decennio murattiano, né ogni altro tentativo. La storia successiva è una storia ormai fuori dall'Europa, è la vicenda del ripiegamento su se stessa della città, della sua cultura, della sua economia, nel tentativo, sempre inappagato, di restaurare, vagheggiando il passato, quell'Armonia ormai irrimediabilmente perduta”[5] .

Si ricorda che questo passato era come l'oro che Napoli aveva esaltato come:

   “Tiempe belle `e na vota” [6].

Era unica per le sue colline del Vomero e di Posillipo che la dominano ed  il panorama di San Martino, per esempio, anche oggi, è un panorama extra-speciale.

Città famosa anche per le proprie strade famose come Toledo

“perché è il cuore della città e dei suoi abitanti. Toledo è una strada speciale, dove non si passeggia come si suole fare nelle altre strade. Ha ancora oggi il suo tipico sapore di salotto dove ci si può incontrare e fare tutto quello che si vuole. E’ una strada diversa dalle altre che si trovano in America o a Londra o a Parigi; è una specie di fiume e, nel passato, è stata il fiume dei ricordi, del sangue del periodo in cui Napoli era una città-paese cioè, una delle grandi capitali d’Europa [...]”.[7]

Napoli comprendeva, e comprende tutt’ora, due ultime isole che si affacciano su Capri: Procida ed Ischia. Capri guarda su entrambi i due isolotti e vanta, da sempre, il primato di una bellezza fresca ed inedita, godendo della fama di un luogo così rilassante nel quale si può vivere tranquillamente.

Recandosi ancora oggi a Napoli, è possibile riconoscere il volto di una città antica, che si può respirare, amare già dalla prima vista; è la città delle dieci civiltà, dei cento miti ed infine dei mille incantesimi.

Mario Di Stefano ha detto che Napoli è come una madre che si può accarezzare, sentire quando è commossa e palpitante, con una verità e un'anima misteriose [...][8]

Negli anni venti Walter Benjamin aveva definito Napoli come la città "Porosa", forse perché era costruita sul tufo e sotto era piena di grotte e caverne. Massimo viveva in un palazzo costruito da un tipo di pietre del tufo, e con il passare degli anni il palazzo è degradato a causa dell’acqua del mare, cioè il fenomeno del "Bardisismo"

           “Passando per Napoli, intorno agli anni Vent,i Walter Benjamin la definì una "Città porosa". Era questo il carattere della città che a prima vista lo aveva colpito, la "porosità". Forse perché la città è costruita sul tufo, sotto è piena di grotte e caverne”[9]

Tale "Porosità" si riferiva al sottosuolo o ad una metafora, perché a Napoli c'era più di un mondo, uno superficiale e l'altro terreno abitato.

Di più, negli anni trenta ci sono stati degli scrittori che hanno scritto dei libri e dei romanzi su Napoli quando era ancora la Napoli gloriosa. Questo brano tratta l'oro di una città antica:

         “Nella trentina e passa di raccontini che Marotta consegna alla letteratura con l'oro di Napoli oleografica dell'Ottocento, ma nemmeno c'è l'inferno filmato da Malaparte ne La pelle (1950), bensì l'ultimo sguardo limpido e sereno che chiunque avrebbe nel vedere Napoli come la prima volta, magari davanti al mare di Santa Lucia durante la classica Bella Giornata”[10]

Le pagine del romanzo “Ferito a morte” mostrano quanto fosse amara e nostalgica la riflessione su tutto quello che era successo al paesaggio napoletano, trasformato, dal tanto verde a sempre nuovi spazi edilizi. “Ferito a morte” è una specie di avventura umana del protagonista ed il carattere più speciale ed originale di questo libro, infatti, consiste nella capacità descrittiva della trasformazione avvenuta, da tutte le parti, stravolgendo la natura, il paesaggio. Lo scrittore commenta:

         “La sostanza del libro è veramente una avventura umana, nella quale ognuno, napoletano o no, può riconoscere. Ma nella malinconia che risuona profonda ed elementare, quale un accento della natura, della luce splendida del paesaggio avventuroso, drammaticamente colorito, nello sfioccarsi cangiante, degli amori, degli esteri, degli umori di una giovinezza disponibile per la cronaca più bizzarra, in questo romanzo di La Capria è straordinariamente napoletano, ed esprime il senso di Napoli al di là di ogni intenzione o attenzione sociologica.[...] così si chiude una pagina, amara e nostalgica, sullo scempio che del paesaggio napoletano ha fatto la nuova edilizia. È la rivincita del romanziere La Capria sul saggista che con lui convive”[11]

Massimo, il protagonista del romanzo, all’età di 25 anni, insieme a Tonino, un bambino di cinque o sei anni, ricordava dei momenti del passato che avevano caratterizzato i periodi gloriosi della città, la quale era una parte del suo cuore sin da bambino. Perché lui ne soffriva? Perché viveva una ricerca assidua, in un momento finale, decisivo che, in seguito, lo avrebbe aiutato poi ad uscire dal suo mondo alienato, nel quale si era ritrovato per via di cambiamenti avvenuti alla città, diversità che lo avevano reso così estraneo dal mondo che lo circondava. Il momento che lui stava cercando, però, era un momento irrecuperabile, perché lui si trovava in procinto di lasciare Napoli per vivere a Roma, e ciò che lo rendeva più malinconico, per questa ragione, era il pensiero per cui: come poteva lasciare tutto ciò ed andarsene via?[12] Negli anni che precedono la guerra, la città era stata trasformata, in un modo tale che, man mano, l'antica Napoli aveva iniziato a somigliare ad un carnevale di colori violenti:

           “Nella tensione ideologica che precede la Guerra, Napoli si trasforma dunque da città polverosa in città radiosa dove il fantasma dell'Impero s'incarna, o sembra incarnarsi, nelle sue forme più palpabili: non solo ardite configurazioni architettoniche, tra ciuffi di palme e fontane zampillanti, ma una densa, surriscaldata atmosfera ingombra di musiche e di colori violenti, da cui emerge in fiero popolo di conquistatori”[13]

A questo elenco va aggiunto anche come la città era stata colpita, in quel momento, da una specie di: "Febbre urbanistica"[14], uno sviluppo urbano consistente, caratterizzato da nuovi quartieri che avevano inghiottito e sostituito quelli storici, lasciando spazio anche a strade lunghissime, piazze larghe ... ecc.

           “I mesi che immediatamente precedono l'entrata in guerra dell'Italia sono stranianti, convulsi, addirittura indecifrabili. Napoli è presa da una specie di febbre urbanistica. Si aprono nuovi quartieri cittadini, con lunghe strade rettilinee, piazze, chiese, giardini, mentre vengono iniziati i lavori di una grande arteria extraurbana- la Domitiana che, nel giro di pochi anni, dovrebbe congiungere più agevolmente Napoli  con la capitale[...]”[15]

Inoltre, la guerra era giunta all'improvviso, così come può sorprendere un vento forte che si infrange su un luogo. Lo scrittore, infatti, ha descritto l'arrivo della guerra come un "temporale d'estate" [16]. Si deve ricordare che uno dei motivi della guerra fu il carattere autarchico della città di Napoli sul piano dell'economia, e su questo argomento l’autore specifica il senso di tale carattere autarchico:

         “Contrazione degli scambi commerciali, forbici intollerabile tra il livello dei bisogni e il loro soddisfacimento, penuria di beni dietro l'ostentazione, [...], delle risorse del genio nazionale”[17].

Bisogna fare un riferimento speciale alla situazione economica di Napoli, perché questa situazione era il primo motivo per cui il protagonista del libro, Massimo De Luca, era stato costretto a lasciare Napoli per andare in un altro posto, alla ricerca di un lavoro con una retribuzione soddisfacente, dal momento che Napoli non gli aveva procurato un impiego dignitoso, né una vita generosa, nella quale potrebbe valorizzare anche la sua laurea conseguita presso la Facoltà di Giurisprudenza.

E’ possibile affermare che quest'autarchia era uno dei motivi che isolava Napoli dalle altre città italiane, considerandosi come un paese indipendente che non doveva, per forza, entrare in contatto con gli altri paesi. Si nota che i napoletani erano così orgogliosi, con la volontà di rimanere fermi e da soli nei confronti delle difficoltà che colpivano la città. Quindi, per fare questo, esisteva un “decalogo autarchico" del 1939, con il quale, purtroppo, i napoletani fecero il possibile per soffocarsi, sopprimendo sé stessi, manifestando la tendenza di una città italiana che dalle altre città non voleva dipendere in nessun modo, cercando la propria indipendenza anche nel linguaggio. I napoletani, infatti, erano convinti che il napoletano non fosse un dialetto ma, anzi, una lingua come le altre parlate nel mondo, al pari dell’inglese, dello spagnolo e del francese ecc.

L'atteggiamento dell'autarchia era pure tendente al risparmio:

           “Il "decalogo autarchico" del 1939 ( "Non piagnucolare se ti manca il caffè. Ringrazia il DUCE che ha provveduto a tempo perché ci sia il grano per tutti"; " Insegna a tua moglie che il risparmio è tutto guadagno e che se risparmiare è utile per la famiglia, oggi è un dovere di Patria"; " Ricordati che ogni lira spesa in un prodotto straniero va ad alimentare la cassa di gente che ci odia e ci insulta" e via predicendo)”[18]

Napoli era come un piccolo continente che accoglieva più di un paese, e da ogni paese prendeva un'impronta diversa, dal momento che, trattandosi sempre di una città europea, poteva considerare caratteristiche di popoli africani e della terra d'Africa stessa. Napoli era come un episodio che legava l'Europa all'Africa; si poteva trovare, infatti, un caffè arabo, una caratteristica orientale, oppure anche un numero di etiopici che praticavano delle danze ... ecc. Nel libro si racconta questo tratto, seppur brevemente, momento in cui Napoli si mostrava come una città mondiale, una città-mondo e non una metropoli qualsiasi, ma una realtà di grande importanza, centro d’interesse di tante occupazioni straniere, come nel caso dei tedeschi abitanti di Capri, che vieniva considerata la loro meta preferita.

Tra gli anni ‘40 e ‘50, si era assistiti ad una lotta continua a causa della scomparsa graduale delle tradizioni della città e della crisi morale che aveva colpito Napoli insieme ai nuovi criteri che avevano attaccato il capoluogo partenopeo:

           “Questa lotta diventa sempre più essenziale perché si inserisce all'interno di una radicale e generalizzata trasformazione, che acquisterà il volto di una razionalizzazione di massa: " La progressive scomparsa del tessuto tradizionale di mediazioni tra società e individuo- averte Solmi nella citata introduzione del 1954, anni importanti (...)- si riflette nella crisi della morale privata, al posto della quale subentrano ( e cinema, radio, e gli altri organi della cultura di massa contribuiscono ad accelerare questo sviluppo) standard collettivi di comportamento”[19].

Negli anni quaranta, specialmente dal ‘43 al ’47, si parlava di: “Anni felici, diventati materia di sogno" [20] - ma quando la guerra finì, nel giugno del 1945, i tratti della città cominciarono ad essere più chiari e, dopo la distruzione completa, tanti elementi cominciarono ad essere persi: lo spirito della collaborazione sparì tra la gente perché, a causa di questa distruzione, i fantasmi cominciarono a riempire la città al posto delle truppe occupatrici. Napoli era diventata una città fantasma e sulla sua superficie cominciarono a sorgere problemi come la "pacificazione" e la "ricostruzione", mentre, nel 1946, man mano, personaggi di grande rilievo come Achille Lauro – che era un intraprendente armatore sorrentino - ed altri cominciarono ad apparire sulla scacchiera politica. Lauro, su tutti, divenne poi commendatore e governò la città, ma con tutto ciò che fece per Napoli, sia di positivo che di negativo

Negli anni cinquanta, Silvio Perrella commenta questo periodo a Roma, nel quale si viveva una grande delusione, “un'ossea delusione”[21], in cui un passato “lugubre”[22] era tornato di nuovo.

Si vede anche che non solo La Capria o Massimo De Luca nel romanzo, fu l’unico a partire per Roma, ma lo seguirono altri, per cui il problema non era di carattere individuale, ma il disagio era collettivo. Al pari di La Capria soffrirono la stessa condizione

            “Antonio Ghirelli, Giuseppe Patroni Griffi, Franco Rosi, Enzo Gollino, Michele Prisco, Domenico Rea, Mario Pomilio [...]”[23]

La Napoli degli anni cinquanta era detta anche città Laurina, risalendo ad Achille Lauro; una  Napoli non aperta come le altre città italiane, ma chiusa in sé stessa

          “vedi il concetto nella napoletanità" una Napoli " indifferente a ogni cosa che non la riguardasse da vicino”[24].

Incoronato dice sulla città di Napoli ed avverte che nella:

        “Realtà esiste solo la Scala a San Potito, dove negli anni 1944-45-46-47 abitarono essere umani". Esseri umani provati dalla guerra e dai bombardamenti, senza più una casa [...]”[25].

Napoli purtroppo, man mano, cominciò a perdere il contatto con il resto del mondo e – “cadrà in un'autoreferenzialità localistica”[26]

La città, sempre negli anni cinquanta, secondo Rea, aveva degli orologi che non funzionavano come quelli di Roma,  tanto che, come descrive l’autore, il tempo: "S'era come pietrificato "[27].

Era diventata, inoltre, la sede del comando militare della Nato ed il mare che non era più il mare che rappresentava la città partenopea, venne allontanato insieme a tante, tante altre cose che cambiarono in quegli anni cinquanta.

Purtroppo, alla fine di questo decennio, ci furono tanti casi di suicidi a causa della miseria che avvolgeva la città partenopea, tra i quali, l’esempio del matematico Renato Caccioppoli.

Negli anni sessantasi entra nei 10 anni della speculazione edilizia, degli operatori turistici bisognosi della protezione del potere politico e dei finanziamenti pubblici.

La natura magica caratterizzata dal mare, dall'acqua chiara veniva sostituita sempre più dalle autostrade, dalle vie camionabili, dalle vie ferrate, dai nuovi alberghi, dalle imprese. Possiamo dire che ci fu una mano umana che entrò nella geografia delle città del Sud, e Napoli fu una delle città che non poté resistere a lungo negli anni, venne trasformata, ma in senso negativo.

         “Ma ci accadeva di pensare vagabondando proprio dai Campi Flegrei) alla Sila, come infine l'uomo che non dispera di sé stesso può fare amicizia col paesaggio e da esso accogliere inauditi suggerimenti e ad esso dare i suoi gesti di lavoro. Ci accadeva di stare davanti al mare di Enea e di ricordare i versi di Virgilio e le leggendarie imprese di Cuma e di Pozzuoli, le delizie di Baia, di Posillipo, da Miseno), il fervore della vita sociale e mondana, artistica ed economica e scientifica che dal grembo stesso di questi antichi crateri spenti si espresse [...]”[28]

In questa citazione precedente si sente un filo di malinconia in Di Stefano che parla della vita di Napoli e dei suoi luoghi, delle sue zone. Lì la vita non era rimasta quella primaria del paesaggio ma si era trasformata in una vita mondana concreta. E purtroppo queste opere industriali ora diventavano indispensabili per il progresso della vita stessa, anche se distruggevano la bellezza esteriore del meraviglioso paesaggio.

Di più, negli anni sessanta, Napoli aveva delle opere fatte da gruppi di coordinatori diretti da Carlo Cocchia, come, ad esempio, il Policlinico, la Stazione Centrale e lo Stadio San Paolo[29].

Il paesaggio meridionale che era puro adesso

           “[...] Le ciminiere, le grues, i carriponti, le torri di colata, gli altiforni, i laminatoi, i cementifici, le officine, le fabbriche , i cantieri stanno nel paesaggio meridionale a restituirgli appunto la vita che aveva perduto lungo il corso di secoli oscuri e delusi [...]”[30]

Vorresti conoscere una città? Vaga per le sue strade come se tu fossi un vagabondo senza una destinazione precisa, vai a vedere cosa si trova in queste città. Arrivando a questo punto, potresti sapere se in tale città il governo la cura bene o la trascura, perché le strade di una città sono sempre lo specchio che riflette tutti i suoi mali. In Strade di Sergio Battista, l’autore parla in questo punto, dicendo che, per esempio, il Museo Archeologico era chiuso, il Palazzo reale era stato lottizzato dagli eserciti di varie nazionalità ed era stato trasformato in un club per gli ufficiali ed i sottoufficiali, in più le chiese erano state lasciate così senza osservazione e senza custodia dei loro tesori d'arte; la Galleria di Umberto aveva assunto un aspetto diverso, sembra come adesso una stazione ferroviaria abbandonata. La Villa Comunale. Nelle strade più belle e meravigliose di Napoli c'era una grande confusione, nelle quali si trovavano delle:

        “turbe di monelli, d'accattoni e di trafficanti fuori legge " che le invadevano”[31].

Parlando della seconda guerra mondiale, Napoli aveva avuto un ruolo molto importante per i tedeschi e La Capria ne ha parlato. Napoli, infatti, era una meta preferita dai tedeschi, anche se questi fossero stati in clima di guerra contro l'Italia, per loro Napoli era una meta storica insieme alle città che vicine, tra le quali ricordiamo Capri, Pompei e Sorrento ma, soprattutto, Capri. Tali centri erano i luoghi più a cuore per i tedeschi, e quando i questi cominciarono a partire da Napoli, piansero. Infatti i tedeschi che fossero stati a Capri, sarebbero stati trattati come amici dai napoletani e non come nemici invasori ecc.

“E, non basta i pesci, pure le tedesche pigliavi, venivano ancora a Capri fino all'ultimo anno della guerra, certe naziste tutte natura e nudismo. S'incuriosivano, volevano vedere come si fa a pescare tutte le caricavi a bordo e nemmeno si facevano pregare, tutto loro facevo. Qui ci venivano verso settembre ottobre, a fine stagione. Pure il re ci veniva, quella era la villa messa a sua disposizione da Mussolini [...]”[32]

I feriti della guerra andavano sempre a Capri per curarsi, perché sull'isola si poteva essere guariti con le sue acque. Era strano vedere come loro combattevano e lottavano a Napoli ma andavano a curarsi nelle città vicine.

Napoli come una meta preferita anche per morire:

        “Venire a Napoli in " convalescenza", addirittura " morire" a Napoli, diventa l'aspirazione segreta di moltissimi soldati tedeschi. Si stabilisce un ponte aereo tra il fronte cirenaico e la città. All'aeroporto gli "ospiti" troveranno autoambulanze ad attenderli; per chi guarisce c'è il miraggio di Sorrento e soprattutto di Capri”[33]

E in genere i politici corrotti con la pretesa della modernizzazione avevano contribuito alla decadenza morale – economica di Napoli:

       “[...]La Capria è spesso severo contro i politici irresponsabili che col pretesto della modernizzazione economica, hanno contribuito alla decadenza culturale e perfino morale della loro città [...]”[34]

La corruzione viene rappresentata in questa citazione di La Capria in “Ferito a morte” – nella quale l’autore ha descritto la sua città dopo la guerra e dopo la modernità, in cui al posto dei larghi spazi dove sorgevano larghi palazzi, sono stati costruiti degli edifici, delle costruzioni immense, come scatole di fiammiferi, piccole scatole in cui abitava la gente, diverse dal passato nel quale il palazzo aveva tratti artistici. Palazzo Donn'Anna, ad esempio, laddove Massimo (o La Capria) abitava da giovane rientra in uno di questi casi. Tutte queste costruzioni erano state edificate per vendere il numero più alto possibile di abitazioni e guadagnare soldi, intento considerato come corruzione, perché conduce alla perduta dell'originalità di Napoli. Infatti La Capria aveva ragione, perché come mai era stata trasformata una città ai miei ed ai suoi occhi da un museo originale ad un luogo uguale a tutti gli altri posti?

         “Oltre passato il casermone rosso fragola, scoppia dal basso un vocio confuse, e sotto la strada, di nuovo il mare nell'arco dolce della spiaggia, chiuso dalla selva delle palafitte, sovraffollate come Borgo San Lorenzo- un chilometro e mezzo quadrato, 125 mila abitanti, con una densità di 840 abitanti per ettaro, considera le strade, lo spessore dei muri e lo spazio inutilizzabile ottieni, cessi compresi, una densità di 2.5 abitanti per stanza. E ci sono quattordici chiese, che diminuisce lo spazio”[35].

Bisogna aggiungere anche che nella Villa Comunale in cui il piccolo Tonino- La Capria-Massimo giocava quando era piccolo, (nella quale spesso passava, dopo la scuola, trovando, in una occasione, anche un canarino che si poggiava sulla sua spalla) si tagliavano di notte gli alberi utilizzati come legna da riscaldamento:

“Per potersi assicurare il riscaldamento e il fuoco in cucina, vengono tagliati nottetempo perfino i rami degli alberi della Villa Comunale, dei viali cittadini e degli altri giardini pubblici”[36].

Un aspetto della Bella Giornata napoletana:

       “Sotto la Pagoda, all'altezza di Villa Rocca romana, Massimo passa ai remi, al posto di Glauco. A quest'ora s'incontrano solo i gozzi dei pescatori che rientrano, e li vedi ancora in fila o a gruppi, come formiche, sull'orizzonte gonfio[...]”[37]

 “Ferito a morte” come un romanzo espone il decadimento della natura e della bellezza naturale della città, visto che Napoli godeva di un'immensa bellezza naturale, che la rendeva una specie di luogo dove ci si poteva rilassare:

“La vacanza è una specie di rottura con la realtà, una evasione dalla Storia, e solo la Storia ha un senso. Ma intanto il richiamo insensato attraversa il silenzio del mattino, come uno spiro di vento. Il vento che ti sfiora come dice il verso”[38]

Il fascismo era stato come il veleno che inquinava la vita napoletana, influiva sull'istruzione, al punto tale che La Capria (Massimo) non poté ottenere la sua laurea come i ragazzi normali come lui raccontava. Inoltre, in un'intervista realizzata con Emanuele Trevi, La Capria ha commentato che la vita durante il fascismo fu caratterizzata da anni "di straordinaria compressione"[39]. Egli ha anche parlato di una Napoli piena di tutte le cose che le altre generazioni seguenti hanno scoperto, contraddizioni come quelle, per esempio, tra amore e corruzione. Questo è normale per una città come Napoli.

“Emanuele Trevi chiedendo La Capria: Anche i tuoi coetanei di allora, affacciati alla vita dopo il fascismo e gli anni della guerra, conoscevano la vita attraverso questa " dissipazione controllata?

Devi capire una cosa fondamentale: gli anni del fascismo furono soprattutto anni di straordinaria compressione. Con l'arrivo degli Alleati a Napoli, ci fu un momento di novità straordinaria.[...] Napoli era una specie di Saigon mediterranea, piena di tutte quelle cose che le generazioni successive hanno scoperto avvenire nella vera Saigon. Corruzione, certamente, ma anche sesso, amore, felicità. E l'orrore ... Tutto, insomma, noi trovammo, in quella situazione, un modo per evadere, finalmente, dalle costruzioni della vita familiare, quotidiana. Capri, Ischia, Positano erano i luoghi privilegiati, in mancanza di soldi per viaggi più impegnativi, di questa evasione”[40]

La Capria ha partecipato alla guerra nel 1943, quando prestò il servizio militare in un battaglione di universitari (il 52° Battaglione d'istruzione) sino al 1944, anno in cui aveva solo 20 anni, perciò la realtà della guerra a causa del fascismo era qualcosa che lui odiava perché non aveva potuto continuare i suoi studi.

Ai tempi del Boccaccio Napoli era una città attiva e gloriosa:

          “Napoli, ai tempi del Boccaccio, è una città in movimenti: alla parte vecchia, lurida e cupa, si sono aggiunte nuove strade; gli aristocratici hanno sfruttato i dintorni di Napoli, come Baia, su cui Boccaccio ha scritto pagine brillanti, che riescono a dare il senso di agreste e insieme della pace marina; l'ambiente di corte è tra i più raffinati del tempo.”[41]

Però si deve notare anche che Napoli non aveva soltanto questa parte aristocratica del Boccaccio e della serena pace dove lui poté creare dei capolavori, ma c'era pure la parte della Plebe, povera, delinquente con un linguaggio del tutto diverso da quello della classe aristocratica, plebe che fu protagonista, in seguito, della rivoluzione del 1799 per domandare delle riforme su tanti aspetti della vita. Era finito l'Oro di Napoli, era terminata l'epoca saliente della storia di Napoli nel 1945:

          “I tempi di paisà sono finiti, e sciuscià s'è messo a scippà. È finita l'età dell'Oro di Napoli, di Eduardo e di Totò. E c'è chi dice che portiamo il cuore nella fondina, fronti a estrarlo quando ci fa comodo con la stessa tempestività di un pistolero del West”[42]

Perché era scoppiata la rivoluzione nel 1799? Napoli, come è stato detto più volte, aveva degli aspetti negativi e la rivoluzione del 1799 non fu l'unica della sua storia, ma ce ne furono tante, a causa di aspetti profondamente negativi che resero la città come un mare di miseria vero e proprio e non per poco tempo, ma per lunghi periodi in cui i napoletani soffrirono ingiustizie che colpirono la plebe, sofferenze causate da governi corrotti. La miseria per la gente era un fatto quotidiano, non un evento annuale. Quindi i napoletani avevano una forte voglia di cambiare e di cambiarsi, vollero realizzare un passo decisivo contro quei mali, erano alla ricerca di una Napoli che soddisfacesse i loro requisiti però, allo stesso tempo, non volevano cambiarsi dall'interno, volevano rimanere com’erano, quindi era una questione di difficile equità quella di conservarsi e di conservare la loro città; allo stesso tempo, era difficile essere moderni e modernizzati per vivere una vita dignitosa:

          “Eppure proprio da questa antitesi di fondo, dal mondo di solitudine e di depravazione, dalla miseria, dalla violenza, dall'odio, dal rancore e dalla rassegnazione secolare, dal suo stesso fatalismo, è uscita la rivoluzione di Masaniello, la rivolta all'Inquisizione, la Repubblica del '99, i moti del '20, la ribellione delle quattro giornate, che non sono certo frutto della "pulcinelleria". Il vicolo, descritto nella sua miseria di avventura quotidiana, con i suoi infiniti " bassi " [...] il sentimento di un'ingiustizia secolare, che a Napoli acquista rilievo plastico; il senso di depravazione, in un vivere in cui si fa tutto per denaro e niente senza di esso, e dove la  prostituzione stessa è frutto di arrangiamento e bisogno di superare, col denaro, la miseria, il vivere della giornata, all'insegna dell'occasionale; il bisogno di dare spettacolo, attraverso la violenza, la minaccia”[43]

Ci furono periodi salienti nella storia napoletana: ad esempio l’epoca della città dei secoli passati, la Napoli delle tante occupazioni e dell'inizio della seconda guerra mondiale, dal 1939-1945; la Napoli del dopoguerra, dopo il 1945 fino al 1961. Questi punti danno uno sguardo completo su Napoli.

Oltre a ciò, come era Napoli dal punto di vista di Massimo com’era la sua Napoli prima di partire per Roma ed andare a cercare un lavoro? Perché la sua città non poteva procurargli un posto di lavoro in qualsiasi giornale? Il motivo è dato, come gli dice il suo amico Gaetano, dal fatto per cui i suoi articoli erano privi di complicità, ragione per la quale Massimo non poteva avere un posto di lavoro nella sua città materna. Quindi lui dovette partire e, mentre viveva a Napoli, nella città c’era ancora un poco di originalità però, quando se ne andò e ritornò dopo, trovò tutto cambiato: al posto delle ville antiche come Villa Marinelli, Villa Rosberry e tante altre ville antiche, c’erano invece delle grandi costruzioni:

Questo non era solo il caso di Massimo, ma nella Napoli di Lanzette il protagonista soffriva anche della sua città napoletana di un male simile a quello di Massimo De Luca, perché anche Lanzette vede come a Napoli si soffriva e si imparava poco.

Quindi è un caso molto comune tra gli scrittori, i quali esprimono la stessa sofferenza.

Il Mare è un punto in comune nei romanzi di La Capria. Troviamo, infatti, che il mare di “Ferito a morte” aveva un grandissimo valore nel determinare la partenza di Massimo De Luca dalla sua città, dato che a Roma non c'era quel mare napoletano azzurro, un mare che fu caro ad Ulisse e alle Sirene, delle quali La Capria ha parlato prima nella descrizione del mare del passato e del presente.

Per il mare che una volta era un mare “eldorado”, popoloso, pieno di pesce, prima di partire, Massimo si sentiva così commosso:

      “[...] quel mare felice Eldorado popoloso di pesci”[44]

Inoltre, sulla trasparenza dell'acqua del Mare, quando Massimo usciva per fare una passeggiata in marina:

             "Massimo osserva la villa che ha un aspetto più ridente vista di là, la barca si muove sopra l'acqua limpida, tutta viva di sole, sopra i ciuffi d'alghe e la sabbia. Solo stendendo un braccio pare che lo tocchi, il fondo"[45]

La Capria nelle sue pagine descrive il pesce del mare in una quantità pari a quella della gente che andava la domenica in via Caracciolo, tanta gente che andava e veniva e questo esempio vale anche per i pesci come in questa scena:

      “Sdraiato sullo scoglio Glauco lo sta guardano soprappensiero”.

 “Le vedi queste chiane? " dice a Ninì". " Erano piene di saraghi, cefali, orate, spigole. Andavano a spasso come la gente la domenica a via Caracciolo [...]”[46]

“Il pesce lo vendono ai ristoranti mi sono fatte due estate gratis con questo sistema, tra Ischia e Capri[...]”[47]

Massimo provava dei sentimenti quando andavva al mare, sentiva dentro di lui la felicità, un sentimento di avventura che lo avvolgeva ogni volta faceva il tuffo sott’acqua, come se fosse in un paradiso:

          “Ogni volta che vado al mare a fare il bagno si rinnova in me il sentimento della Cacciata dal Paradiso. Una volta andare sott'acqua era un'avventura, c'era un mare popoloso di pesci, e i pesci venivano vicino a vedere cos'era l'oggetto splendente tra le mie mani ai raggi del sole”[48]

Adesso era diventato un mare vuoto, inquinato a causa di tutto quello che stava succedendo. Quel mare non era più azzurro ma era un mare grigio:

 “Che il mare è senza avventura, che il tempo passa e sale con l'acqua sulle mura del palazzo”[49] .

L’utilizzo dell'aggettivo “grigio” per descrivere il mare in questa citazione, riferendosi al grande cambiamento avvenuto al mare di Napoli, elemento tanto amato da Massimo. Soprattutto, sempre nel romanzo, lo stesso Massimo parlava di “bella giornata” resa tale dal mare azzurro pieno di pesci, il quale adesso, invece, era diventato grigio, un aggettivo che trasmetteva il senso del deterioramento del mare a causa dell'inquinamento, della guerra, delle bombe, mentre la parola “calura” si riferiva al caldo intenso, all’acqua sporca con il caldo, la quale aveva sostituito l’acqua trasparente ed il vento che soffiava sulla superfice dell'acqua.

         “Gaetano attraversa la strada, si ferma a guardare dal parapetto il mare grigio nella calura, acqua si lisciva”[50]

E ancora

         “Erano ormai pochi i sopravvissuti, il mare non era più l'Acquario di Dio, non più l'Equoreo Eldorado [...]. Tutti scomparvero i pesci e neppure uno rimase vivo a nuotare nelle acque di questo mare. No, uno rimase, un cefalotto che s'era smarrito, che un giorno si fermò davanti alla punta del mio fucile [...]”[51]

La Capria man mano, cominciò a vergognarsi di questo mare dopo che per lui tutto era mutato, a partire dalla città, dai luoghi, dagli scogli, dalle isole, dalla terra, dal mare, dalle stagioni, fino al sapore di un'arancia.

Massimo o La Capria viveva al palazzo Donn'Anna, tale palazzo fu costruito dall'occupazione spagnola nel settecento. Massimo abitava in una camera di quel palazzo per tutta la sua giovinezza, che dava sul panorama del golfo di Napoli, il mare azzurro, il cielo sereno e il sole forte luminoso. Massimo per conto suo vedeva che vivere a Roma significava che di mare non ci sarebbe stato di più, di un bel panorama come quello nemmeno, quindi era molto difficile lasciare Napoli, la città dove era nato e vissuto una gran parte della sua vita.

Lui si descrive come se fosse un pesce nell'acqua di un mare, e la vita a Roma non sarebbe come Napoli, anche se a Napoli non si poteva trovare un lavoro facilmente a causa di tutti quei problemi, però Roma non aveva tutto quello che Napoli poteva godere. Era una decisione difficile, perché sentiva la perdita della sua identità. Vivere a Napoli voleva dire divenire tutt’uno con l'identità con tutta la sua bellezza meridionale e che lui non poteva fare meno del mare, del sole e del cielo.

In conclusione, per Massimo De Luca era difficile lasciare la città dove era nato e vissuto, per andare alla ricerca di un’opportunità che cambia la sua vita,  a volte è difficle, non solo per Massimo, ma per ciascuna persona che sia molto legata al luogo dove si è nati, ma alla fine la vita continua, la vita va avanti e non se ne accorge.



[1] . Raffale La Capria, Ferito a morte, Oscar Mondadori, Milano, p.112

[2] . Stefanio De Mattis, Lo specchio della vita, antropologia della città del teatro,Il Mulino, 1992, p.305-306

[3] . Ivi, p.309

[4] . Antonio Ghirelli, Napoli sbagliata, Storia della città tra le due guerre, Delfino, Roma, p.210

[5] . Angelo Puglisi, In casa Cupiello, Eduardo critico del populismo, Donzelli, Roma, 2000, p.84

[6] . Ivi, p85.

[7] . Cfr Stefano di Mario, Il volto del sud, Originali narrative,L.CO, Napoli,1970, p. 25

[8] . Ivi,  p.27-28

[9] . Raffaele La Capria, L'occhio di Napoli, Mondadori, 1994, Milano, p.11-12

[10] .Ivi, p.28

[11] . AA.VV. 9 Modi di leggere Ferito a morte, Geno Pampaloni, Antologia di giudizi crtici, Note, Fausto Fiorentino, Napoli,1997 p.15

[12] .Ivi, p.10

[13] . Lambiase Sergio- Battisa, G. Nazzaro, L'odore della Guerra, Napoli 1940-1945, Avagliano, Roma p.14-15

[14] . Ibid. p.13

[15] . Ivi, p.13

[16] . Ivi, p.19

[17] . Ibid.

[18] . Ibid.

[19] . Stefano De Matis, Lo specchio della vita, antropologia della città del teatro,Il Mulino, 1992, p.304 in Introduzione a Minima moralia, cit, p.XI

[20] . Silvio Perrella, Gli anni cinquanta a  Napoli, Andarvieni letterari, Ottobri 2001, p.1

[21] . Ibid.

[22] . Ibid.

[23] . Ivi, p.2

[24] . Ivi, p.3

[25] . Ibid.

[26] . Ivi, p.4

[27] . Ibid.

[28] . Stefano di Maria, Il volto del Sud, Originali narrative,L.CO, Napoli,1970,  p.18-19

[29] . Cfr. AA. VV. Le lingue di Napoli, Maurizio Zanardi, Saper costrurire, Conversazione con Francesco Venezia, Cronopio, 1994. p.116

[30] . Stefano di Maria, Il volto del Sud, Originali narrative,L.CO, Napoli,1970,  p.19

[31] . Ivi, p122

[32] . Raffaele La Capria, Ferito a morte,  Mondadori, 2014, p.26

[33] . Ivi, p.68

[34] . Paolo Grossi, Letteratura, senso comune e passione civile, La Capria e la nozione di purezza di Denis Ferrais, Liguori, Napoli,2001 p. 107

[35] . Raffaele La Capria, Ferito a morte, Mondadori, Milano, 2014, p81.

[36] .  Lambiase Sergio- Battista, G.Nazzaro, L'odore della Guerra,Napoli 1940-1945,Roma p 85

[37] . Raffaele, La Capria, Ferito a morte, Mondadori, Milano, 2014, p.19

[38] . Ivi, P.19

[39] . Emanuele Trevi, Letteratura e libertà, conversazione con Emanuele trevi, "Non aver conlcuso la porpia sorte, Quiretta, 2002,p.20

[40] . Ibid.

[41] . Carmine Di Biase, L'altra Napoli, Scrittori napoletani di oggi, Domenico Rea, Le Due Napoli, Società Editrice napoletana, Napoli, 1978, p.23

[42] . Raffaele La Capria, L'occhio di Napoli, Mondadori, 1994,p.56

[43] . Carmine Di Biase, L'altra Napoli, Scrittori napoletani di oggi, Domenico Rea, Le Due Napoli, Società Editrice napoletana, Napoli, 1978, p.20

[44] . Ivi, p.15

[45] . Ivi, p.20-21

[46] . Ivi, p.27

[47] . Ivi, p.26

[48] . Raffaele La Capria, Capri e non più Capri,  op.cit, Mondadori, 2003, Milano, p.855

[49] . Ivi, p.16

[50] . Ivi, p.80

[51] . Raffaele La Capria, Capri e non più Capri,  op. cit, Mondadori, 2003, Milano p.855

-        Angelo Puglisi, In casa cupiello, Eduardo critico del populismo, Donzelli, 2000
-        Antonio Ghirelli, Napoli sbagliata, Storia della città tra le due guerre, Delfino, Roma, 1985
-        AA.VV. 9 Modi di leggere Ferito a morte, Antologia di giudizi crtici, Note, Fausto Fiorentino, Napoli,1997
-        AA. VV. Le lingue di Napoli, Maurizio Zanardi, Saper costrurire, Conversazione con Francesco Venezia, Cronopio, 1994
-        Carmine Di Biase, L'altra Napoli, Scrittori napoletani di oggi, Domenico Rea, Le Due Napoli, Società Editrice napoletana, Napoli, 1978
-        Emanuele Trevi, Letteratura e libertà, conversazione con Emanuele trevi, Quiretta, 2002
-        Lambiase Sergio- Battisa, G. Nazzaro, L'odore della Guerra, Napoli 1940-1945, Avagliano, Roma, 2002
-        Paolo Grossi, Letteratura, senso comune e passione civile, Liguori, Napoli,2001
-        Raffaele La Capria, Ferito a morte,  Mondadori, Milano, 2014
-        Raffaele La Capria, Capri e non più Capri,  in opere, Mondadori, Milano, 2003
-        Raffaele La Capria, L'occhio di Napoli, Mondadori, Milano, 1994
-        Stefanio De Mattis, Lo specchio della vita, antropologia della città del teatro,Il Mulino, 1992
-        Stefano Di Mario, Il volto del sud, Originali narrative, L.CO, Napoli,1970
-        Silvio Perrella, Gli anni cinquanta a Napoli, Andarvieni letterai, Ottobri 2001