Ibn Hazm vs. Dante Alighieri, due amori a confronto

Document Type : Original Article

Author

Department of Italian Language and Literature Faculty of Languages, Ain Shams University. Cairo, Egypt

Abstract

Throughout the history of literature, love inspired many poets and narrators in the entire world. In this study we will examine two masterpieces of two prestigious literary traditions (The Ring of the Dove (1022) by Ibn Hazm representing the Arabic Andalusian tradition and The new life (1292-1293) by Dante Alighieri representing the Italian one. The analogy is motivated not only by the common theme of love but also by the structure of the two works which is the prosimeter, a common form in the Arabic literature yet a bit rare in the Italian one. However, love is a main topic in the Arabic poetry and was a turning point in the history of the Italian poetry as well. This study is an attempt to relate the Arabic concept and sensibility of love with the medieval Italian counterpart. Furthermore within a Mediterranean framework, we seek both common and conflicting points between the two great authors who lead such an important period in the history of literature.

 

ntroduzione: Il motivo dietro questo nostro lavoro è la volontà di mettere in correlazione due opere che costituiscono un momento importante delle tradizioni letterarie a cui appartengono. Si tratta de La vita nova di Dante Alighieri composta attorno al 1295 e Il collare della colomba di Ibn Hazm composto  all'incirca nel 1022. In altre parole, ciascuna delle due opere istituisce una novità rispetto alla tradizione precedente sia nel contenuto sia nella forma. Lo scopo del presente studio è quello di individuare punti di convergenza e divergenza fra le due opere in questione e vedere, su un ulteriore piano di indagine, se la sensibilità e il pensiero di cui sono rispettivamente rivelatrici possano aver avuto qualche legame nell'arco di tempo che le separa. Ci siamo anche avvalorati per questo studio di consultare direttamente i testi scritti in arabo che a volte scarseggia in studi del genere e viceversa: spesso gli studi che vengono fatti in paesi arabi sulla produzione arabo-andalusa vengono fatti entro i limiti degli studi di Lingua e Letteratura araba senza approfondire gli echi di questa produzione nel contesto europeo in cui si era venuta a creare.  

Infatti la tesi del contributo della poesia arabo-andalusa nella genesi della poesia europea in volgare è stata trattata, e non poco polemizzata, in contesti europei, fra un gruppo di studiosi come Pidal, Gomez, Quadrio e altri  e oppositori come Muratori e Arteaga. Dobbiamo però chiarire che lo scopo della presente non è quella di comprovare o meno il contributo arabo nella poesia italiana in volgare tanto meno di attribuire fonti dell'opera dantesca a quella del teologo cordovano. Infatti la prospettiva dalla quale è impostato lo studio è puramente estetica. Vale a dire di prendere in esame le due opere in maniera incondizionata da nessun preconcetto di dover trovare dei nessi che le legano.            

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   Sotto il titolo Dalla comparazione intraculturale alla comparazione interculturale, Franca Sinopoli ricorda comela critica che sollevò Wellek alla scuola francese risiede nel fatto che la comparazione potrebbe essere libera. In altre parole potrebbe trarre origine da fatti intrinseci nei testi in questione a prescindere da "limitazioni e condizioni temporali e/o spaziali."[i]. Wellek voleva svincolare lo studio letterario dallo storicismo in senso stretto, dando la precedenza al testo letterario inteso come una stratificazione di segni e significati. Compito dello studioso dell'opera d'arte è sondare i significati insiti sotto questa stratificazione senza lasciarsi influire da interessi nazionalistici o storici mirati.      

Ed è proprio quello che intendiamo fare in questo studio: indagare il significato insito in due opere che rappresentano due momenti importanti di tradizioni letterarie altrettanto importanti quali la letteratura arabo-andalusa rappresentata da Il collare della colomba (1022) di Ibn Hazm[ii] di Cordova e la letteratura italiana in volgare rappresentata da La vita nova (1295) di Dante Alighieri. Tanto per cominciare forniamo dati di base sui rispettivi autori per dare un'idea della collocazione storica.

Si sa poco delle origini di Ibn Hazm (994-1064). L’ipotesi più probabile secondo Mekky è che Hazm discenda da una famiglia di مولّدين (muualladìn) cioè le varie razze che esistevano già in Spagna prima della conquista araba avvenuta nel 711. Non si può sapere con certezza l’origine di questa famiglia che fosse latina, gotica, africana, fenicia o celta così come non si può sapere con esattezza la religione degli avi di Hazm se fossero cattolici o politeisti.[iii] Si tratta di una famiglia di contadini residenti nei pressi di Montlisam, divenuta poi Montijar, nella regione di Huelva sud ovest dell’Andalusia. La famiglia non fu tra i primi ad abbracciare l’Islam subito dopo la conquista araba né negli anni appena seguenti. Il nonno di Hazm lasciò il piccolo paese alla volta per Cordova, il capoluogo di Huelva. Il padre di Hazm invece, Ahmed, fu al servizio degli Umayyadi fino a diventare il ministro de Al-Mansùr diventando uno degli uomini più potenti di tutta Cordova. Così Hazm nacque in una famiglia d’élite di matrice modesta e non islamica.[iv] Hazm divenne celeberrimo giurista e teologo a Cordova, sede del Califfato. Presto però la situazione politica viene destabilizzata con la deposizione di Hishàm II nel 1013. Nel 1027 viene eletto Hishàm III che sarà l'ultimo califfo umayyade di Cordova poiché nel 1031 questi viene catturato dando inizio al lungo periodo buio dei cosiddetti Regni di Taifa.  

Dante Alighieri nacque a Firenze nel 1265 da una famiglia di piccoli nobili. Negli anni della prima giovinezza s'invaghì di Bice Portinari che morì giovane ma che sarà immortalata nelle opere di Dante, prima fra tutte, La vita nova, composta appunto dopo la morte della fanciulla avvenuta nel 1290. Erano anche questi gli anni in cui, per consolarsi della perdita dell'amatissima Beatrice, Dante si iscrisse all'ordine dei Medici degli Speziali, come prevedeva la prassi dell'epoca, per diventare Priore della città di Firenze. Schieratosi dalla parte dei Guelfi Bianchi, sostenitori dell'autonomia del governo cittadino rifiutando ogni intrusione esterna, soprattutto quella della Chiesa nella persona di Papa Bonifacio VIII, Dante fu esiliato nel 1300 e non tornerà mai più alla cara Firenze. Infatti dopo un lungo periodo di peregrinazioni fra varie città italiane, periodo che vedrà la composizione e le infinite correzioni del testo della celeberrima Divina Commedia, muore nel 1321 e verrà sepolto a Ravenna che vanta la tomba del sommo poeta.        

Malgrado la distanza di quasi 200 anni che separa i due autori, entrambi condividono lo sfondo teologico, di interesse personale nel caso di Dante, di formazione professionale nel caso di Hazm. Entrambi hanno vissuto periodi di politica instabile che spinse loro a lasciare, in modo più o meno spontaneo, la propria patria.

Quanto al corpus di questo studio, esso è costituito da Il collare della colomba scritto in arabo, composto di 30 capitoli in prosa che contengono versi, quasi sempre dell'autore, spesso in chiusura dei capitoli. La vita nova, opera scritta in italiano, è composta da 42 capitoli in prosa che contengono interi componimenti poetici i quali variano in forma tra sonetti, canzoni più una ballata. Infatti l'idea di prendere in esame le due opere fu suggerita non solo dall'argomento comune dell'amore, ma anche dalla forma del prosimetro.

Anche se il prosimetro potrebbe avere in Occidente origini satirico-parodiche nella tradizione greca, più tardi viene ad assumere una nuova veste, non più soltanto legata a motivi satirici, ma anche a temi filosofico-religiosi e poetici. Ne sono illustri esempi, nel mondo tardo-antico, il De consolatione philosophiae di Severino Boezio e, nella letteratura italiana, appunto la nostra Vita Nuova di Dante Alighieri nonché il Comento de' miei sonetti di Lorenzo de' Medici.[v] Si tratta di un genere alquanto raro nella letteratura occidentale. Nella tradizione letteraria araba, invece, non è così. Il prosimetro fiorì in epoca umayyade (la stessa dinastia che regnerà all'età d'oro della dominazione araba in Andalusia) nei secoli X e XI. Infatti il prosimetro non ebbe particolar splendore in età preislamica poiché si ricorreva poco alla scrittura. Ebbero, allora, maggior fioritura la poesia, l’orazione e i proverbi.[vi] Infatti fino a qua stiamo parlando di una forma letteraria il più avvicinabile all'epistola fino alla composizione di epistole specializzate che trattavano un argomento unico come quelle del Giàhiz (775-868) e Al-Ma’rry (973-1057) che furono contraddistinte per l’abilità letteraria. Infatti con questo tipo di scrittura si è passato dal dominio della scrittura epistolare ad un dominio più ampio, quello della trattatistica. Vale la pena ricordare però che nella tradizione letteraria araba, il prosimetro, pur essendo una forma di scrittura di ampio uso, esso non ha una denominazione vera e propria. Si delinea piuttosto come un sottogenere prosastico dell’epistola, un genere che più si avvicina alla trattatistica morale. A dire il vero anche il nostro Hazm ricorre all'espediente dell'epistola per dare avvio alla sua lunga e articolata riflessione, informando il lettore nella premessa che scriverà Il collare per rispondere alla domanda di un amico, un certo Abu-Muhammad.

Non immemore della professione di giurista, Hazm espone la materia del trattato/epistola classificandola e suddividendola in capitoli suddivisi, a detta dell'autore, in questo modo: i primi 12 capitoli dedicati ai segni dell'innamoramento e i suoi «sintomi e attributi» positivi e negativi. Anche se per usare le parole di Hazm "l'amore è un sintomo e in quanto tale non prevede sintomi e un attributo e in quanto tale non dovrebbe aver bisogno di attributi"[vii]. I seguenti 10 capitoli trattano l'origine del sentimento amoroso. Seguono sei capitoli dedicati agli intrusi in una relazione amorosa. Esempio: capitolo sull'invidioso, sull'osservatore, su colui che sparla, sulla lontananza.. Due di questi capitoli sono il contrario della figura di cui si parla in uno dei 12 capitoli precedenti: per esempio il capitolo sull'intruso è il contrario del capitolo sul complice; oppure il capitolo sull'abbandono è il contrario di quello sulla comunicazione. I due capitoli conclusivi sono sulla bruttezza dei peccati e la virtù dell'astenersi da essi in un atteggiamento che ricorda la matrice religiosa dell'autore nonché a ribadire per un'ultima volta l'impostazione e l'intento del testo. Come a dire, non perché il testo riporti notizie e episodi amorosi si debba pensare che si tratti di un inno all'amor sensuale.

Infatti il titolo del libro tradisce il senso ben più ampio dell'amor inteso come attrazione fisica. Nel suo studio sul Collare, Abbàs Ibn Yahia sostiene che il titolo di un'opera costituisce un testo parallelo al testo dell'opera anzi lo precede separato da uno spazio bianco che ne sottolinea l'autonomia. Il titolo del trattato di Hazm, di per sé particolare nella sua metaforicità del contenuto, acquisisce una certa autonomia dal momento che l'autore non si cita neanche come genitivo, come si soleva fare all'epoca. L'io narrante non figura nel titolo né in modo esplicito per esempio come un Ibn Khaldùn in Spiegazione di "Ibn Khaldùn e il suo viaggio" né in modo alluso. Il titolo è concepito per alludere solo ed esclusivamente al tema trattato.[viii] Infatti il collare della colomba è una metafora araba proverbiale di qualcosa che rimane impresso e dura nel tempo. Per non parlare poi della simbologia del collare come qualcosa che attornia l'essere, appunto come fa il sentimento amoroso che sta all'innamorato come un collare ad una colomba. Quest'ultima infine è simbolo millenario di pace e armonia. Abbàs Ibn Yahia arriva ad identificare due nuclei semantici della parola 'collare' del titolo:

  1. Il collare è segno di bellezza. Le colombe dotate di un collare sono più belle così come le collane mettono in risalto la bellezza femminile.
  2. Il collare è segno di durevolezza e resilienza. Infatti gli Arabi solevano dire di qualcosa «che duri come il collare della colomba». Forse nell'auspicio che il proprio libro abbia una lunga fortuna che duri nel tempo, Hazm ha dato questo titolo al suo scritto. 
  3. Il legame con l'amore, o meglio, l'affetto inteso nel senso più ampio del termine richiamando tutte le forme di affetto non solo quello della passione amorosa fra uomo e donna.[ix]  

Questo terzo punto riconduce saldamente al primo come a chiudere il cerchio, anzi allargarlo fino ad inglobare tutti i tipi di amore come sottolineato dallo stesso sottotitolo: "في الألفة والألاف" (convenzionalmente tradotto in italiano "sugli amanti"). Bisogna chiarire però subito che Ulfa in arabo deriva dalla radice Alifa cioè sentire armonia fra due persone a causa di profonde affinità. Il termine è tipico dei piccioni ma nello stesso tempo è chiara la connotazione prescelta dall'autore a favore dell'affetto, del tacito accordo, della complicità. Infatti non ha usato la parola amore حب né  عشق (amor sensuale) o, peggio ancora,  هوى(passione). Hazm dunque voleva alludere precisamente al senso lato del termine 'affetto'. A sostegno di questa tesi, Hazm stesso cita il celebre detto del profeta: “le anime sono come soldati guidati, l’armonia ne unisce quelle affini mentre quelle che differiscono fra di loro risultano discordanti.”[x]Hazm batte molto sull’affinità fra le anime come fonte dell’amore vero a confronto con il desiderio che forse nasce dall’attrazione ma non per affinità.[xi].

Se il titolo dell'opera di Hazm è metaforico, non meno metaforico è quello dell'opera di Dante che viene a designare una vita nuova dell'amore dell'autore dopo la morte della donna amata. Ed è venuto poi ad indicare emblematicamente una nuova fase della concezione amorosa dopo la stagione provenzale che faceva della donna amata il punto d'arrivo del proprio sentimento. Dante invece ne fa un punto di partenza, ovvero, di ascesa. Potremmo dire che grazie alla morte di Beatrice Dante potette elaborare questo percorso introspettivo e autocritico dal punto di vista linguistico – artistico: “La morte di Beatrice, al contrario di quel che era avvenuto in tutta la poesia trobadorica, non portava dunque alla fine del canto poetico ma anzi ne esaltava gli esiti: permetteva di pensare e praticare nella maniera più chiara una poesia in cui la «beatitudine» (Beatrice) non consisteva più nella speranza o nel raggiungimento di una «ricompensa», della gioia d’amore, ma nella lode pura e semplice della donna, nelle parole che lodavano Beatrice.”[xii]. Si tratta infatti della storia di una "penosa malattia d’amore risoltasi nell’acquisizione di una nuova consapevolezza di sé e della natura del proprio sentimento”[xiii] sfociando in una nuova filosofia d’amore. Maria Corti sostiene la stessa affermazione di Santagata: “il libello non è trascritto da un’autentica memoria esistenziale, ma da una memoria che si innesta sulla immaginazione e sulla poetica dell’autore.”[xiv]. E qua si apre il grande dibattito sulla natura del libro di Dante: si tratta di un'autobiografia o no? Per non parlare di un altro dibattito che tanto di filo ha dato da torcere a critici e storici, se Beatrice sia realmente esistita o meno? Fatto sta che il percorso delineato nella Vita nova è frutto dell’ideazione del poeta anche quando si avvale di riflessi autobiografici. Stefano Carrai per esempio ne esclude la veridicità ritenendo la Vita nova un sunto del saper letterario di Dante che “ha inanellato una serie di topoi lirici come veri e propri episodi di un romanzo, seguendo una strategia volta a rinquadrare anche i riflessi autobiografici entro una cornice tanto esemplare quanto fittizia.”[xv]. Reale o fittizia che sia la vicenda con Beatrice, ci basti che l'unica vera realtà fosse il contenuto del libro, il pensiero di Dante che forse per troppo ingegno non volle comunicare in un trattato secco la propria esperienza di letterato e poeta avvalendosi della propria storia d'amore per darle veste romanzesca.         

Una scelta questa che non risulta molto distante da quella di Hazm, che dopo secoli di poesia araba amorosa, introduce in merito un trattato in forma di epistola con inserti autobiografici. Infatti, l'amore fu da sempre uno degli argomenti topici della poesia araba tradizionale. Hazm, un po' come Dante, non volle sfogare le proprie sofferenze amorose, bensì volle trattare in maniera il più esauriente possibile la questione dell'amore come sentimento umano. La prospettiva è principalmente psicologica: di capire il mandante, l’andamento, i sintomi, gli effetti e la natura dell’amore, esponendone vari tipi nel tentativo di rintracciare le varietà ontologiche di un sentimento umano duraturo quando sincero. Ed è praticamente questa profondità psicologica che differenzia il trattato di Hazm da alcuni precedenti fra cui ricordiamo Il libro della rosa کتاب الزهرة (909) di Ibn Dauùd Al-Asbahàny. Si tratta di una rassegna descrittiva, una classifica di tutti i tipi di poesia della tradizione araba esposta in 100 capitoli di cui i primi 50 sono dedicati alla poesia amorosa talmente diffusa nella tradizione poetica araba che la poesia su qualsiasi altro argomento se veniva scevra del motivo amoroso si chiamava tronca. A ben vedere il libro di Dauùd si delinea meglio come un'antologia. Sisa Qàsim, vede che Il collare è di gran lunga più elaborato e fondato dal momento che Ibn Dauùd si limita a citare gli episodi, non le analizza come farà Hazm. Secondo motivo è lo stile prosastico inferiore a quello poetico. Ibn Dauùd è un bravo poeta, infatti i brani in prosa sono venuti di qualità inferiore a differenza di Hazm, che scrisse prosa eloquente quanto la poesia. Sisa conclude che l’intento analitico di Hazm è quello che fa la differenza: Il libro della rosa è un trattato scritto da un poeta che si limita al bel parlare, mentre quello del Collare è l’esito ben più elaborato di uno scienziato.[xvi]    

Hazm segue lo stile tradizionale degli oratori arabi cominciando con la lode di Dio e del profeta chiedendo aiuto di Dio dalle mali sorti e dalle cattive abitudini, dalla volontà debole e dalla corruzione delle proprie anime. Come abbiamo suaccennato, la prima sezione del libro è dedicata ai segni dell'innamoramento. Primo segno, secondo Hazm, è «la dipendenza degli occhi dell'amante» da quelli dell’amato. Poiché gli occhi sono «la porta dell’anima» cioè gli occhi sono lo specchio della quintessenza di questa; l’espressione più sincera della coscienza. Gli occhi di un amante seguono l’amato come un girasole.[xvii] Secondo segno, trovare piacere nel parlargli, ascoltare ciò che dice e l’attenzione verso tutto ciò che fa, fossero pure bizzarrie, bugie o addirittura ingiustizie. Un amante asseconda il proprio amato ovunque vada e dica.[xviii]Si nota che un'amante accorre a dove si trovi l’amato avvicinandosi sempre ad esso trovando ogni scusa per stargli vicino, minimizzando ogni motivo per doverlo abbandonare, rallentando al massimo la propria partenza.[xix] E via dicendo sulla fenomenologia osservata e classificata dal teologo cordovano.

Notevole è la grande abilità con cui Hazm passa dalla prosa alla poesia, chiosando le proprie riflessioni con versi rendendoli parte integrante del discorso, altro che citazioni decorative. Il che differisce la struttura del Collare da quella della Vita nova che assomiglia di più a canzonieri provenzali. Non si intenda con ciò l'inferiorità delle liriche dell'opera dantesca alle parti in prosa fermo restando l'intento dietro di essi il quale risulta sostanzialmente diverso rispetto ai capitoli del Collare. Quest'ultimo è concepito come un'opera in prosa. Vale a dire le citazioni poetiche hanno la funzione appunto di citazioni a sostegno delle tesi esposte nei singoli capitoli, che trattano temi specifici. La Vita nova invece è un'opera ideata originariamente per legare le liriche giovanili dell'autore tratteggiando a ritroso il percorso della vicenda amorosa ed esistenziale di Dante. Le liriche e i capitoli della Vita nova costituiscono un macrotesto dentro il quale vengono a collocarsi i componimenti lirici in un ordine premeditato. Il tema unico del Collare non garantisce unità organica ai capitoli di cui è costituito mentre l'impostazione della Vita nova di Dante prevedeva già in partenza la continuità fra i singoli capitoli.

Questa differenza di impostazione del prosimetro nei due autori ne comporta un'altra a livello di procedimento della narrazione. La partenza del testo dantesco è introspettiva ed insieme retrospettiva invece il testo di Hazm procede linearmente, in modo orizzontale rispetto allo scavo verticale attuato da Dante che comincia la narrazione con un sogno, una visione. Appunto si tratta di una narrazione, invece quella di Hazm è una catalogazione; una trattazione. Dante volle dare una veste romanzata alla propria poetica e poeticità. Vale a dire il testo di Dante è un testo di scrittura creativa mentre quello di Hazm avrebbe un che di narrativo, con passaggi autobiografici ma rimane dopo tutto un trattato. Accomuna le due impostazioni, differenti, l'indagine psicologica, la volontà di andare più in là per capire come stanno le cose. Talvolta si manifesta nel testo dantesco la descrizione del momento creativo, della genesi della composizione poetica riportata nei singoli capitoli: la descrizione di Dante che sogna, fa una visione dove gli parea di vedere e sentire certe cose che poi descrive. I brevi capitoli della Vita nova cominciano spesso con un pensiero, o meglio una visione che innesca un ragionamento. Dopo il sonetto o la canzone, Dante chiosa con una breve analisi sommaria del componimento dividendolo. Esemplare è l’attacco del capitolo 15 dove Dante parla della visione d’Amore che gli comanda di omaggiare il giorno in cui si è impadronito del suo cuore. Siamo dopo la morte di Beatrice e Dante ammette di essere trasformato, quasi quasi non si riconosce. “Appresso questa vana imaginazione avvenne un die che, sedendo io pensoso in alcuna parte, ed io mi sentìo cominciare un terremuoto nel cuore così come se io fossi stato presente a questa donna.”[xx]. Si nota la sensazione di una grande scossa “terremuoto” che segna il passaggio alla nuova condizione. È quasi il lite motiv della dimensione onirica in cui Dante si trova inoltrato; una dimensione nella quale si trova così vicino alle apparizioni della Gentilissima: «così come se io fossi stato presente a questa donna». Beatrice è apparizione purissima che appartiene al regno dei Cieli ma è anche così presente, quasi la tocchiamo con mano, la vediamo con gli occhi di Dante.

Un altro noto esempio è quando Dante parla del momento in cui stava per scrivere un sonetto. Ci descrive nel dettaglio le circostanze. Nel capitolo 23 è l’anniversario della morte di Beatrice:

In quello giorno nel quale si compiea l’anno che questa donna era fatta delli cittadini di vita eterna, io mi sedea in parte ne la quale, ricordandomi di lei, disegnava uno angelo sopra certe tavolette; e, mentre io lo disegnava, volsi lo occhi e vidi lungo me uomini a li quali si convenia di fare onore. E’ riguardavano quello che io facea, e secondo che me fu detto poi, egli erano stati già alquanto anzi che io me ne accorgesse. Quando li vidi, mi levai e, salutando loro, dissi: «Altre era testé meco, però pensava.[xxi]

Dante parla di un’immaginazione dentro l’immaginazione e dice che mentre scriveva vide davanti questi signori anzi ci inoltra su un altro piano che mentre questi osservavano la scena, Dante, completamente assorto nel caro disegno che faceva, chiede scusa ai presenti poiché il pensiero a lei andava.. alla gentilissima. Subito dopo, la carrellata riporta Dante dagli ospiti alle parole: "Onde, partiti costoro, ritornai a la mia opera del disegnare figure d’angeli e, facendo ciò, mi venne un pensiero di dire parole quasi per annoale e di scrivere a costoro li quali erano venuti a me.”[xxii]. Dal pensiero siamo passati alla pittura e dalla pittura siamo tornati alla parola. Il sonetto nascituro ha due varianti d’attacco che Dante riporterà. Annota Carrai che si tratta del “primo esempio noto di varianti alternative esibite da un autore.[xxiii]  

Dante attua un progetto in primis autobiografico senza nulla togliere all'affermazione di Maria Corti sulla Vita nova come il sunto di una tradizione poetica, occidentale per l'appunto, ed insieme una poetica personale. È quanto fa della Vita nova un punto di svolta nella letteratura italiana grazie alla compattezza compositiva dell'opera ben più ambiziosa del limitarsi ad un mero canzoniere. Quella di Dante è anche e sempre una scrittura legata al suo sapere mistico religioso. Proprio qua risiede un importante punto di'incontro fra i due autori, lo sfondo teologico della scrittura. C'è da notare però che Dante unisce le fila della teologia assieme alla poesia e ne fa uscire fuori un'opera esemplare nella forma ma anche nel contenuto che fornisce a tutti gli esseri umani un esempio di una vita rinnovata dalla forza dell'amore. Invece nell'economia del testo, Hazm spesso separa le due materie, quella cronachistica corredata da versi e quella religiosa riservando un contenuto moralistico-religioso agli ultimi due capitoli. In alcune sedi però Hazm ribadisce il senso dell'affinità quale lo abbiamo spiegato sopra, che tale affinità, con tutte le sfumature, a volte anche molto sinuose, dovrebbero venire intese e vissute nei limiti del consentito.                

Se dovessimo parlare della dimensione religiosa delle due opere in questione potremmo individuarla a due livelli: un livello testuale e un altro concettuale. Sia nel testo di Dante che in quello di Hazm si trovano citazioni testuali rispettivamente della Bibbia e del Corano. Hazm intarsia il testo con detti del profeta. Basti pensare alla premessa in cui parla delle affinità fra le persone che si sentono attratte le une dalle altre. Cita a sostegno il celebre detto di Maometto: “le anime sono come soldati guidati l’armonia ne unisce quelle affini mentre quelle che differiscono fra di loro risultano discordanti.”[xxiv]. Per non parlare poi delle invocazioni che fa come d'uso nella cultura araba sia nel parlare con gli amici o corredando il discorso su terzi. Si tratta comunque di modi di dire frequenti e abituali nel dire e lo scrivere della cultura araba d'allora. In altre parole, libri di altri scrittori non avrebbero stili molto differenti. Invece nel caso di Dante non era da tutti impostare un romanzo d'amore nella maniera in cui il sommo poeta fece soprattutto in correlazione all'argomento trattato, l'amore. Già nella seconda pagina del libello, Dante esprime così l’effetto dell'apparizione di Beatrice: “In quel punto dico veramente che lo spirito de la vita, lo qual dimora nella sacretissima camera del mi’ cuore, cominciò a tremar sì fortemente che apparia ne li menimi polsi orribilmente e, tremando, disse queste parole: «Ecce deus fortior me qui veniens dominabitur michi».”[xxv]. Dante usa un tono imponente da versetto evangelico come per mettere ancora in risalto il lato divino del suo amore.[xxvi]   

Dante, talmente colpito dalla grazia di Beatrice, descrive se stesso “presi tanta dolcezza che come inebriato mi partìo da le genti”[xxvii]. Carrai annota che la frase è di gusto biblico perché riecheggia Ierem 23,9 “quasi vir ebrius”[xxviii]. E ancora nella visione che Dante fece subito dopo dove gli apparve Amore sotto forma di signore di aspetto imponente che tiene in mano un cuore ardente e nell’altra una piccola madonna avvolta in leggero drappo rosso. L’uomo nella visione dice a Dante: «Ego dominus tuus» (Vita nova, 1.14) una frase che si rifà al primo comandamento: «Ego sum Dominus Deus tuus» (Esodo, 20,2)[xxix]. “Un giorno avenne che questa gentilissima sedea in parte ove s’udiano parole de la Reina de la gloria ed io era in luogo dal quale vedea la mia beatitudine.”[xxx]. Dante istituisce il binomio tra la gentilissima e la lode alla Vergine in un cenno di legame tra le due figure. Sempre nel secondo capitolo commentando a fine capitolo il sonetto O voi che per la via d’Amor passate, Dante stesso dichiara: “Questo sonetto ha due parti principali, che nella prima intendo chiamare i fedeli d’Amore per quelle parole di Geremia profeta che dicono: «O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus», e pregare che mi sofferino d’audire.”[xxxi].

In molte sedi, Dante riprende versi biblici anche nel punto nevralgico della narrazione dove spiega la novità della sua opera. Nel capitolo 10, una delle donne gli chiede: «A che fine ami questa tua donna poi che tu non puoi sostenere la sua presenza? Dilloci, ché certo lo fine di cotale amore conviene che sia novissimo».”[xxxii]. Al che Dante risponde: «Madonne, lo fine del mio amore fue già lo saluto di questa donna, forse di cui voi intendete, ed in quello dimorava la beatitudine che era fine di tutti i miei desideri, ma, poi che le piacque di negarlo a me, lo mio signore Amore, la sua mercede, à posta tutta la mia beatitudine in quello che non mi puote venir meno». Allora queste donne cominciaro a parlare tra loro e, sì come talora vedemo cadere l’acqua mischiata di bella neve, così mi parea udire le loro parole uscire mischiate di sospiri.”[xxxiii]. Nella bellissima immagine delle parole delle donne, si intravedono dietro le maglie del loro atteggiamento l’episodio di Isaia 55, 10-11:

10 Come infatti la pioggia e la neve

scendono dal cielo e non vi ritornano

senza avere irrigato la terra,

senza averla fecondata e fatta germogliare,

perché dia il seme al seminatore

e pane da mangiare,

11 così sarà della parola

uscita dalla mia bocca:

non ritornerà a me senza effetto,

senza aver operato ciò che desidero

e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata. 

      

Dante vuole sottolineare la forza della parola, vera protagonista della sua vicenda; essa è mezzo e fine della sua arte. La storia di Dante con Beatrice è nuova anche per questo: per il suo effetto e svolgimento, appunto come la pioggia mischiata alla neve che terra arida fa germogliare. Nelle parole di Dante che lodano la Gentilissima sta la sua vera beatitudine e missione. Come autore Dante è fiducioso nell'effetto di queste parole sugli amanti dell'arte del dire e di amare. Nel verbo sta la vita dell'amore e degli amanti. Esso è il principio e la fine.

Beatrice per Dante è la cerniera, unica, con il cielo; la messaggera per eccellenza. Nel capitolo quattordicesimo, quando Dante fa il terribile sogno che gli preannuncia la morte di Beatrice ci fa una descrizione troppo dettagliata giocata sul parallelismo tra Beatrice e Cristo. Il primo segno premonitore della morte della donna è il sole che si oscura: “e pareami vedere lo sole oscurare”[xxxiv]. Sempre nella stessa visione, quando Dante immagina di vedere Beatrice nel cielo «nebuletta bianchissima» gli pare di sentire un coro di angeli che canta «Osanna in excelsis»[xxxv] come vuole la tradizione, fu il canto con il quale Cristo fu ricevuto al suo ingresso in Gerusalemme. La gentilissima suscita stupore e ammirazione come Cristo: “Ella coronata e vestita d’umiltade s’andava, nulla gloria mostrando di ciò ch’ella vedea e udìa. Diceano molti, poi che passate era: «Questa non è femina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo». E altri diceano: «Questa è una meraviglia: che benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilmente sae adoperare.”. Carrai riporta nella nota la parafrasi di Cino da Pistoia che questa donna non è terrena creatura.. Ma soprattutto che la lode a Dio che tal meraviglia seppe creare è di gusto biblico: “Benedictus Dominus Deus Israel, qui facit mirabilia».[xxxvi]La lode della gentilissima è un culto, con il pieno senso del termine, come appunto Cristo suscitava stupore e meritava lode di tutti: “Questa gentilissima donna di cui ragionato è nelle precedenti parole venne in tanta grazia delle genti che quando passava per via le persone correano per vedere lei” riecheggia l’effetto di Cristo: “Mc. 3, 8 «multitudo magna, audientes quae faciebat, venerunt ed eum”[xxxvii].         

Il personaggio di Beatrice è così centrale nella Vita nova, non ha ovviamente corrispettivo nel trattato di Hazm. Anche se nella morte di No'em, la fanciulla amata dal filosofo, piace a qualche critico vedere una certa somiglianza con la Beatrice di Dante ma la distanza che separa le due figure è grande quanto lo spazio, vastissimo, occupato dalla figura di Beatrice nell'immaginario dantesco. Una differenza fondamentale fra le due opere risiede nel soggetto femminile di riferimento: unico nel caso di Dante, invece vario e anonimo nel caso di Hazm che spesso fa il cronista e cita commentando le storie altrui. La ragione dietro ciò sta nell'intento di ciascuno dei due autori, in partenza diverso. Hazm non si sente in crisi non vive l'esperienza amorosa una e unica come quella di Dante in modo gnostico. A parte il dibattito sull'esistenza reale o meno di Beatrice, la figura femminile per Dante ha una funzione allegorica nel testo sulle orme di usi metaforici radicati nella tradizione poetica occidentale.

Nel capitolo 16º, Dante ci spiega la sua concezione d’amore essenzialmente come «accidente in sustanzia»[xxxviii]. E soprattutto Amore per Dante è una «sostanza corporale» cioè «come se fosse uomo»[xxxix]. Applicando la teoria aristotelica, tutto ciò che è localmente mobile cioè autonomamente può muoversi nello spazio ha corpo. Così venendo l’amore come accidente, secondo Dante l’amore ha corpo. Il secondo motivo per cui secondo Dante Amore ha corpo, è che parlava e rideva: “Dico anche, di lui [amore], che ridea e anche che parlava, le quali cose paiono essere proprie de l’uomo e spezialmente essere risibile.”[xl] Secondo Aristotele, l’uomo, a differenza degli animali, è capace di ridere. Dante fa da cerniera e collega il modus poetandi dei poeti (gli autori antichi) e i dicitori in rima (poeti in volgare) di applicare lo stesso procedimento: “Dunque, se noi vedemo che li poeti ànno parlato a le cose inanimate sì come se avessero senso o ragione e fattele parlare insieme (e non solamente cose vere, ma cose non vere [immaginarie], cioè che detto ànno – di cose le quali non sono – che parlano, e detto che molti accidenti parlano sì come se fossero sustanzie ed uomini), degno è ‘l dicitore per rima [il poeta in volgare] di fare lo somigliante, ma non sanza ragione alcuna ma con ragione la quale poi sia possibile d’aprire per prosa.”[xli].

La postilla di Dante è alquanto importante perché chiarisce che il modus poetandi predicato da Dante vuole superare la retorica vuota. Tant’è vero che sottolinea la stessa teoria in chiusura del paragrafo avvertendo: “E acciò che non ne pigli alcuna baldanza persona grossa, dico che né li poeti parlano così non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono, però che grande vergogna sarebbe colui che rimasse cose sotto vesta di figura o di colore rettorico e poscia, domandato, non sapesse denudare le sue parole di cotale vesta in guisa che avessero verace intendimento.”[xlii] In altre parole, Dante ci tiene alla funzione esplicativa della metafora. Che la veste figurata deve essere atta a chiarire e non ad ornare in modo pleonastico i concetti. La comprensione (il ragionamento) è insita nell’espressione. Ne è principio.

Se l'allegoria è l'impalcatura sulla quale è stata ideata e redatta la vicenda amorosa di Dante, Hazm, invece, opta per la similitudine nelle notizie riportate e nella descrizione come è d'uso nella letteratura araba. La scrittura araba tende alla prolissità, alla paratassi ricca di sinonimi e anafore. A dire il vero lo stile di Hazm non è meno ricercato e più scorrevole di molti altri scrittori precedenti. Questo tratto della scrittura di Hazm è tipico della cultura araba in età andalusa. 

 

   Come il libro di Dante segna un punto di passaggio nella letteratura italiana in volgare anche il libro di Hazm è indicativo di un'epoca particolare della letteratura araba che dal cuore della penisola arabica si espande fino alla Siria dove istituisce il forte califfato degli Umayyadi e in ulteriore espansione inglobò anche la penisola iberica. L'opera di Hazm come forma e come contenuto è un buon esemplare di questa fase in cui la letteratura araba si trova e interagisce con altre lingue e letterature. Infatti opere che appartengono a tale periodo aprono non poche polemiche e sono il frutto dell'interazione fra la  cultura araba pura con influenze esterne. At-Tàhir Mekky mette in guardia il fatto che Ibn Hazm non fosse arabo trovatosi per caso in Spagna, bensì uno spagnolo arabizzato forgiato "da sangue iberico che gli pervenne dai nonni misti. Un fatto di cronaca che fu forse dimenticato nel tempo.”[xliii] La storia è il sunto del gioco di forze fra terra e stirpe. Tre secoli (il tempo che separa la nascita di Hazm dalla conquista araba della Spagna) sono relativamente pochi per far cambiare stile di vita ad una comunità come amano erroneamente credere e far credere alcuni storici, chiosa Mekky mettendo in guardia dal seguire le opinioni di Amirco Castro secondo cui la Spagna fosse stata arabizzata culturalmente e biologicamente come per effetto di bacchetta magica sin dal primo momento dell’invasione araba nel 711. 

Mekky sottolinea come l’arabizzazione della cultura fosse un processo graduale e lento.[xliv] Ad attestare l'interazione fra le due culture (araba e romanza) è la compresenza delle due lingue in alcuni muuashaḥàt che hanno alcune kharjiàt romanze.[xlv] A prova dell’occidentalità di Ibn Hazm, Mekky cita le parole di Ibn Hazm stesso:  أنا الشمس في أفق العلوم منيرة    ولکن عيبي أن مطلعي الغرب (Il sole splendente sono nell’orizzonte delle scienze / col difetto però di sorgere dall’Occidente). Bene si intenda che non si tratti di difetto in assoluto ma di non sentirsi parte integrante della cultura araba quale era nella Penisola arabica. Hazm stesso premette al lettore che si limiterà nel suo corpus a riportare e commentare le notizie di "episodi visti con i propri occhi o tramandati da fonti attendibili tralasciando le notizie degli avi e dei beduini poiché i loro modi furono diversi dai nostri […] e non è nel mio stile abbellirmi di gioielli falsi."[xlvi]. Si vede che Hazm era ben consapevole della differenza di stile, di modi nonché di usanze fra l'ambiente dell'Andalusia e quello della Penisola arabica.

Qua però vale la pena soffermarsi sulla questione dell'argomento amoroso quale veniva inteso ed espresso nelle diverse tradizioni in questione. Certo che l'amore come motivo della poesia araba fu suddiviso in due macroaree: il cosiddetto Ghazal Sarìḥ (corteggiamento spavaldo) e Ghazal 'afìf (corteggiamento raffinato). Spesso si accosta la tradizione dell'amore cortese a quest'ultimo genere, ma non sono ovviamente compatibili per motivi legati alla cultura e alla natura dei rapporti sociali fra gli individui. Basti pensare al fatto che l'amore cortese è destinato alla dama del Signore invece il ghazal 'afìf era destinato all'amata con la quale per motivi religiosi non si poteva avere troppa confidenza tanto meno amoreggiare in modo audace: "Sentirne la voce da dietro un muro è un motivo per innamorarsi e stare in pensiero"[xlvii]. Forse qua viene a delinearsi uno dei maggior punti d'incontro fra Hazm e Dante, la discontinuità rispetto alla tradizione precedente in fatto di poesia amorosa. Invece di raccontare trobadoricamente la propria storia d’amore, Dante ne elabora il sunto in un trattato in forma di romanzo. Anche Hazm elabora un trattato sull’amore e i suoi effetti in un tempo in cui di amore si cantavano solo questi effetti spesso dolorosi. Allora il testo di Hazm viene a innestarsi come una novità anzi una provocazione a livello contenutistico nella tradizione araba i cui poeti spesso facevano argomento dei loro versi le sofferenze d'amore piuttosto che farne uno studio in prosimetro. Idem per Dante che attua una novità nella tradizione dell'amor cortese.            

La novità di Hazm rispetto alla tradizione araba sta, nel lessico con referenti a luoghi e elementi della natura che sono proprie dell'ambiente iberico non più quello desertico. Citare episodi ambientati a Cordoba nei pressi del Qantarao la Grande Moschea rimandano il lettore a questi luoghi nella loro specificità. La vita nova,anche Il collare in un certo senso, sono entrambi un’autobiografia sui generis: Dante unisce platonicamente alla storia d’amore individuale e terrestre, la dimensione religiosa della salvezza spirituale. Hazm invece dopo una lunga tradizione araba di biografie, trattando la fenomenologia dell’amore in sé parla anche di se stesso in una specie di autoconsapevolezza fuor del comune nei contesti delle biografie in arabo. A volte parla di sé, a volte anche passa a parlare di altri. Anche questo è un fatto non poco comune nella tradizione poetica amorosa in cui si parla solo ed esclusivamente di se stessi.  

Quanto poi all'impostazione filosofica del trattato di Hazm. L'autore adotta, adattandola, la teoria di Aristofane che venne introdotta nella cultura islamica tramite il libro della rosa. Al-Asbahàny scambiò i corpi di Aristofane per le anime raffigurandole come una specie di cerchi intersecanti. Hazm invece fornì un’elaborazione ancora più neutra limitandosi a interpretare l’origine dell’attrazione amorosa come una specie di “comunicazione tra le anime suddivise […] ciascuna a seconda della propria forza nell’aldilà”[xlviii]. Sisa Qàsim interpreta questa rielaborazione con il fatto che la teoria aristofanesca diede spunti di lunghe dispute al pensiero islamico, primo fra i quali: le anime furono create prima dei corpi o nello stesso momento? Hazm preferì evitare controversie limitandosi ad interpretare in modo logico e deduttivo l’attrazione spirituale fra le anime scegliendo appunto in arabo la parola Ullàf che deriva da Ulfah che si distanzia dalla parola tipica di amore o passione, Ḥubb. Il lemma ‘Ulfa’ implica altre forme d’amore non solo quello fra uomo e donna e soprattutto implica un periodo di tempo, un lasso di convivenza e dimestichezza con l’altra parte. Nel vocabolario ‘ulfa’ è unione basata soprattutto sulle affinità spirituali fra due o più persone come l’amicizia. Ed è proprio questa l’accezione dichiaratamente esposta da Ibn Hazm nel suo trattato.[xlix]

Il miscuglio dell'estetica con l'escatologia accomuna le due opere in questione ma ciascun autore lo forgia a modo suo. Secondo Sisa Qàsim, il punto di maggior divergenza fra il poeta italiano e il filosofo arabo sta nella dottrina teologica: Dante باطني e Hazm ظاهري[l]; induttivo il primo, deduttivo il secondo. Il pensiero di Dante ha un procedimento ermeneutico mentre Hazm ha un procedimento deduttivo razionale. Infatti Ibn Hazm fu zahirita adottava cioè una linea di sceverare il discorso esegetico da ogni ambiguità che possa ostacolare una comprensione il più possibile lucida del Corano. Hazm cita le parole di Ibn Dauùd Al-Asbahàny ma non ne adotta completamente la visione. Si può concludere affermando che sia Hazm che Dante si distanziano dalle accezioni sensuali dell’amore inteso come qualcosa di fisico; ciascuno a modo suo. Dante esterna il suo vedere Beatrice come la donna gentile, fonte di valori e beatificante donatrice di saluto e grazia sempre in stile altamente allegorico. Tuttavia, la concezione di bellezza secondo Hazm è tutt’altro che sensuale nonostante parti del discorso tocchino descrizioni di sembianze fisiche e di approcci amorosi.Hazm dichiara la sua definizione d’amore nel capitolo sulle relazioni dove ribadisce il fatto che oltre a certa bellezza che passerebbe approvata da chiunque la guardi è comunque “un qualcosa che l’anima del guardante trova nell’anima del guardato”[li]. Il che allontana Hazm dalla nascente tradizione trobadorica. Le affinità allora sono quelle che contraggono un'anima al proprio amoroso. È il maggior e più importante segno – divino, se vogliamo – su cui si possa fondare un amore vero e duraturo. Gli episodi che riporta Hazm sono realistici e quotidiani ma lo sfondo del discorso riguarda la sfera delle anime. Poco importa a Hazm lo statuto sociale delle persone coinvolte. In altre parole l'amore di cui parla Hazm è talmente universale nella sua semplicità; è un amore che non appartiene ad un certo ceto o condizione civile come sarà il caso dell'amor cortese.

La concezione amorosa di Dante si innesta sulla tradizione dell'amor cortese ma con cambiamento di prospettiva. Alla sofferenza immane subita dal cavaliere per la dama si sovrappone lo sforzo, quasi, zelo da parte del poeta di innalzarsi non più al 'guiderdone' bensì alla salvezza in senso religioso. Un anello di congiunzione nella storia della figura femminile dalla linea trobadorica a quella dantesca è da trovarsi in Guittone d'Arezzo. Guittone in fondo vedeva la tradizione trobadorica tutta atta a soddisfare il desiderio carnale dell’uomo, il che non andava d’accordo con la sua dedizione religiosa. Infatti nel 1265 farà parte dell’ordine dei Frati Gaudenti. In Guittone non c’è conciliazione fra la tradizione dell’amore cortese – che a questo punto risulta più vicina alla poetica cavalcantiana – e della devozione morale. Dal punto di vista tecnico però, vista la sua grande conoscenza dell’occitano e del provenzale, Guittone sarà influenzato soprattutto dallo stile trobadorico. Infatti il poetare di Guittone sarà caratterizzato da un certo trobar clus oltre ad uno sperimentalismo nelle forme metriche tradizionali. Potremmo affermare che ciò che sbocciò in Dante come una Vita nova e una concezione dell’amore come forza e rinnovamento spirituale in Guittone finì per prendere la forma di una crisi.

La storia di Guittone ci fa notare un fatto importane; che la Toscana fu da sempre legata alle Gallie, e quindi alle tradizioni poetiche occitane. Il che potrebbe spiegare la differenza di ricezione tra la Toscana e la Sicilia della tradizione trobadorica. Mentre Guittone ebbe accesso diretto a questa tradizione, i siciliani ebbero la mediazione spagnola. Nel suo celebre De vulgari eloquentia, Dante lodò la Scuola siciliana e nominò diversi Trovatori. Secondo Riccardo Viel, l’influenza della lirica trobadorica sul poetare dantesco è un'impresa non molto semplice da intraprendere. Uno per la varietà dei toni e motivi delle opere dantesche, a volte così diverse fra di loro. Due per la profonda autenticità dell’arte del dire di Dante che “tende spesso a rielaborare le fonti in un tessuto già introiettato e adeguato al suo particolarissimo linguaggio poetico.”[lii]. Uno dei trovatori accostabili alla genesi della Vita nova sarebbe Adam de la Halle (1237-1288). Una delle sue opere più riuscite è  Jeu de Robin et Marion (1275) di solito considerato il testo teatrale profano accompagnato da musica più antico conosciuto finora. La commedia musicale, come del resto la nascente letteratura volgare, riprende motivi e ritornelli di canzoni popolari. Adam de la Halle sembra prediligere le atmosfere italiane. Infatti ambienta in Sicilia l'ultima sua opera, rimasta incompiuta, Le roi de Sicile, una chanson de geste in onore di Carlo d’Angiò (Parigi 1226- Foggia 1285). La contaminazione di generi a quei tempi è l’altra faccia della versatilità degli autori. Non siamo molto lontani dai Nostri che mescolando prosa e poesia ci lasciarono appunto le due deliziose opere in esame in questo studio.    

 

   Quanto poi ad una possibile fruizione da parte di Dante del trattato andaluso, si può affermare che non esistono finora documenti di diretta ricezione o lettura di Dante del testo di Hazm. Ma quello che risulterebbe interessante è la potenziale influenza della poesia araba sulla lirica provenzale e la conseguente influenza di questa sulla nascente poesia italiana in volgare. I potenziali echi della poesia araba specie le muuashaḥàt sulla lirica provenzale l'ho già trattata in altra sede[liii]. Uno dei primi libri in lingua araba che hanno trattato l’osmosi tra Arabi e Occidentali in fatto di produzione poetica fu تاريخ علم الأدب بين الإفرنج والعرب (Storia della letteratura fra Arabi e Franchi) 1904 scritto da Rùhy Al-Khalidy secondo il quale la poesia andalusa avrebbe due contributi; il primo, riguarda la poesia occidentale: i Trovatori provenzali presero dai poeti andalusi l’uso della rima e la musicalità dei versi. Il secondo merito della poesia andalusa è sviluppare la dimensione narrativa della poesia araba tradizionale. Infatti l'autore solleva un interrogativo: come gli Arabi nell'espansione dei loro domini si fossero interessati a tradurre il libro sulla Logica di Aristotele piuttosto che tradurre i versi di Omero o Virgilio? La risposta, secondo Khàlidy, sta nella convinzione storica degli Arabi che la poesia dovrebbe essere il dominio esclusivo dei sentimenti e non di discorsi filosofici. I poeti arabi gareggiavano in retorica in fatto di abilità stilistica non nei contenuti e negli argomenti delle poesie,  come chi volesse portare dell'acqua del mare in un calice forgiato d'oro intarsiato di pietre preziose"[liv]. Sempre acqua è ma il calice più pregiato era, più conferiva gloria al dicitore. Di qua l'eccessiva importanza data dai poeti al fare poesia, nonché alle figure retoriche e il buon parlare, fece sì che i poeti dettero maggior importanza alla forma che al contenuto lasciando i versi di tanta poesia araba scevre di immagini – per così dire discorsive – che esprimono pensieri a differenza di poeti greci e romani la cui poesia risultò più scorrevole, meno piena di immagini e manierismi. Khàlidy cita come due illustri esempi Al-Ma’arry che trasmise i suoi concetti ne Il libro del perdono[lv] interrogandosi su questioni linguistiche e corredando le sue teorie con detti e proverbi, a differenza di un Dante la cui scrittura risulta più organica senza troppe citazioni e vocaboli obsoleti.[lvi]    

             

Infatti secondo Khalidi fu questo il grande contributo dei poeti andalusi; di aver sviluppato la narratio della poesia araba tradizionale ché si soleva scrivere dando una certa attenzione ai manierismi per esibire la propria bravura magari gareggiando con altri poeti di corte. Nello specifico, le muuashaḥàt, e ancor di più i zagial, sarebbero il corrispettivo arabo della poesia volgare in Europa sviluppatasi nel sud della Francia e nel nord della Spagna, la zona appunto adiacente all’Andalusia, in concomitanza con un'esigenza sempre più diffusa dello esprimersi in volgare. Infatti, uno dei motivi della nascita della letteratura francese, spagnola e italiana risiedeva nella volontà di comunicazione più diffusa da parte degli autori con il pubblico nonché all'esigenza da parte dello stesso di esprimere fatti e sentimenti legati al vivere quotidiano. Celeberrima ormai è la frase di Dante ne La vita nova:“Ed il primo che cominciò a dire in lingua volgare, si mosse, perocché volle far intendere le sue parole ad una donna, alla quale era malagevole ad intendere li versi latini.”[lvii]. Il che contribuì ad un cambiamento della lingua usata sia nella poesia italiana che in quella araba. Questa funzione comunicativa della poesia riposava sui poeti (arabi) dell’Andalusia che optarono di più sulla chiarezza del testo poetico che diventò sempre più scevro dai manierismi di eloquenza.[lviii]     

 

Nel suo articolo sul contributo della produzione andalusa nella letteratura araba moderna, Sahar Fathy vede che opere come Il collare della colomba di Ibn Hazm, Attwàbi’ wazZàbi’ di Ibn Shàhìd e Ḥai Ibn Yaqzàn di Ibn Tufail contribuirono ad evolvere la struttura e la lingua delle opere letterarie arabe. Sahar prende in esame tre elementi: il titolo, i personaggi e la struttura narrativa. Tutte e tre le opere portano dei titoli che i rispettivi autori dettero ai loro scritti in una pratica non comune all’epoca. Nello specifico, Il collare risulta un’opera fatta di mini-strutture narrative ciascuna molto breve con dei personaggi a volte reali a volte fittizie, ambientata in un contesto ben preciso e definito come la storia di Ramàdy con la concubina Khaula.[lix] La Fathy vede nelle storie riportate nel Collare novelle in nuce che hanno i seguenti componimenti: descrizione, ambientazione, trama e personaggi.[lx] La Fathy estende al tessuto del Collare il merito narrativo considerato da Khàlidy come maggior contributo della poesia andalusa. In altre parole, la Fathy fa notare come la narrativa del Collare sia ad un passo avanti rispetto ai nuclei narrativi autonomi delle Maqamàt (le sedute), un tipo di novelle comiche dal protagonista unico per ogni ciclo. Il più famoso autore di maqamàt fu Badì’ Az-zamàn Al-Hamadthànì (969-1007) coevo di Hazm. Dal parere di Fathy risulterebbe che l'argomento unico del trattato/epistola di Hazm avesse regalato una certa continuità a livello macrotestuale avvicinandolo da questo punto di vista alla Vita nova di Dante.

 

Uno dei primi traduttori di maqamàt in tedesco, ne lodava l'orecchiabilità della prosa rimata. Sembra che la sonorità sia un fattore di rilievo dell'incidenza della letteratura araba su quella europea. Spiega Khàlidy come i Trovieri (i poeti del Nord della Francia) conoscevano solo l’assonanza come nelle Canzoni di Gesta e andarono avanti in questa tradizione fino alla fine del XII secolo. Solo nel XIII secolo i Trovieri cominciarono ad imitare i Trovatori (i poeti del Sud della Francia). I Trovieri  componevano soltanto epiche brevi in decasillabi senza rima. Sembra che l’uso della rima nelle poesie arabe fosse stato gradito dai trovatori francesi che, secondo Khàlidy, presero ad imitare i cavalieri arabi nel verseggiare specie di argomenti amorosi oltre all'uso della rima propriamente detto invece dell'assonanza.[lxi]                          

 

 

   Tornando alla centralità dell'argomento amoroso nella triade franco, ispanico araba, uno dei poeti di rilievo dei primi decenni della dominazione araba della penisola iberica fu Saìd Ibn Giudy che fu cavaliere prodigioso e modesto amoroso detto il Principe degli Arabi. Cantò per primo "l'amore lontano" o l'amore per una "donna ignota"[lxii]. L'idea stessa dell'amore per una donna mai vista e di cui si è sentito parlare è credibile, anzi frequente, nella tradizione poetica araba visto il rigoroso codice etico come abbiamo sopraccennato. Ecco Al-Giudy cantare il proprio amore per Gigiàn, una concubina che sentì cantare una cantilena per il figlio del Principe Abdur-Rahmàn a Cordova e ne rimase infatuato. Si narrava quanto fosse bella questa concubina che Al-Giudy non vide mai ma di cui si innamorò perdutamente. Per lei scrisse questi versi:

سمعي أبى أن يکونَ الرّوحُ في بدني

فاعتاضَ قلبي من هُ لوع ةَ الحز نِ

أعطيتُ جيجانَ روحي عن تذکرها

هذا ولم أرها يوم اً ولم تَرنِي

فقلْ لجيجان يا سُولي ويا أملي

استَوْصِ خيراً بروح زالَ عن بدنِ

کأنني واسمها والدمعُ منسکبٌ

من مُقلتي راهبٌ صلىّ إلى وثنِ[lxiii]

 

A sentirla il mio spirito non poté rimanere più nel corpo

Ché il cuore soffrì assai delle pene della tristezza

Così vivo è il ricordo di Gigiàn nella mia anima donata a Gigiàn

Che non mi vide mai né io la vidi

Anima mia, dì a Gigiàn "O mia consolazione o mia speme"

Tratta bene un'anima che si sottrasse al proprio corpo.

Quando la ricordo scendono le lacrime dai miei occhi

Come un prete a pregare davanti al suo idolo[lxiv]

 

Hazm dedica un capitolo intero a chi amò per sentito dire, o per la precisione, "per sentito descrivere": "strano che ci si innamori di una persona mai vista. Certe volte si tratta di un fatto assai sublime dal quale sono originati tutti i tipi d'amore. Di qua lo scambio di messaggi e lettere, l'invaghirsi e passare le notti insonni pensando all'amato mai visto poiché a volte sentire annoverare notizie e virtù di certe persone ha un impatto notevole su chi ascolta."[lxv]. Con l'equilibrio del trattatista, Hazm comincia subito a riflettere sulla questione da tutti i lati e come ha messo in rilievo il lato positivo e sublime dell'innamorarsi di una persona mai vista, ne cita anche il lato negativo ritenendo l'infatuazione per una persona mai vista una cosa infondata poiché "chi si dà ad avere una passione per qualcuno che non ha mai visto, deve per forza quando pensa a questa persona farsene un'immagine […] Dovesse un giorno capitare di vedere dal vivo la persona in questione, o si conferma la prima impressione o si confuta del tutto. Entrambi i casi si sono avverati e provati."[lxvi]. Hazm estende la tesi anche alle simpatie fra amici. Racconta un fatto autobiografico di come lo legava una grande amicizia ad un nobil uomo che non aveva mai incontrato e proprio pochi giorni dopo il loro primo incontro, non ci fu più questa grande simpatia e scoppiò un disaccordo che continuò fino al momento della stesura del trattato[lxvii]. Riporta pure un caso opposto di Abi 'Amir Ibn Abi 'Amir fra cui e Hazm non correva del buon sangue, anche per concorrenza fra i loro padri. Accadde un giorno che i due si incontrarono, si sgretolarono tutti i rancori e divennero grandi amici fino alla morte di 'Amir[lxviii].        

 

Nella sua indagine sull'«amore per sentito descrivere», Hazm solleva la tesi che le donne siano per natura più inclini a questo tipo d'amore piuttosto che gli uomini: "Spesso cadono in questo tipo d'amore le donne benestanti rinchiuse nei palazzi. Alcune si innamorarono in questa maniera di parenti maschi. Ragione di ciò è la vulnerabilità delle donne e la loro spontaneità di agire a questo fatto se accade loro, ne rimarrebbero addirittura soggiogate."[lxix] Come di regola, Hazm correda la riflessione con versi:

 

o che mi rimproveri per aver amato colei che non videro mai i miei occhi

Ti sei sbagliato a giudicarmi debole

Chi mai abbia conosciuto il Paradiso se non attraverso la descrizione

 

L'ultimo verso di Hazm riecheggia un detto del Profeta quando gli chiesero i fedeli di descrivere il Paradiso, rispose loro: "Dio preparò per i suoi servi virtuosi nel Paradiso tutto ciò che nessun essere umano vide né sentì"[lxx]. Infatti credere nel mondo dell'aldilà senza averlo visto è uno dei pilastri delle fede islamica. Le descrizioni del Paradiso sono abbastanza frequenti nel Corano. Qualsiasi musulmano ci crede appunto per "sentito descrivere", come chiosa Hazm nei versi citati. Questa deliziosa intersezione fra poesia e escatologia ci fa tornare al sommo poeta che nutre un amor da lontano e soprattutto nuovo verso la sua Beatrice e su questo faremo un'ultima rapida riflessione di questo saggio.

 

A ben vedere, l'osservazione di Hazm riguardo le donne a proposito dell'amor da lontano risulta di una certa importanza su due versanti: il primo riguarda lo scambio fra la tradizione poetica araba e quella romanza in ambito ispanico. Nel momento in cui il Ghazal Afìf è tradizionalmente composto da un poeta per la propria donna, in Andalusia la situazione si capovolge e sulla tradizioni di canzoni popolari si innesta un'altra di canzoni che daranno origine alle cantigas de amigo galego-portoghesi dove le sofferenze per amore sono messe in bocca ad una voce femminile. Lo stesso si trova nelle Khargiat mozarabiche di alcune muuashaḥàt arabe – anche ebraiche – dove una voce femminile canta le sofferenze per l'amato lontano. È interessante vedere come l'humus in cui si è trapiantata la tradizione poetica araba abbia influito su di essa nonché l'interazione proficua fra quest'ultima e le tradizioni poetiche – e popolari – indigene abbia dato frutti unici. Il secondo versante riguarda la condizione socio-economica delle donne che cadono in questo tipo d'amore che ricorderebbe, non poco, le dame destinatarie delle liriche dell'amor cortese.          

 

Certo che l'interazione fra le due culture ebbe fasi e modalità lunghe e varie prima di dare i suoi frutti. Affermare dunque che il motivo dell'amor de lonh sia interamente dovuto alla cultura araba sarebbe riduttivo dal momento che alla genesi della lirica trobadorica concorrono diversi fattori. Ci siamo limitati qua ad accennare rapidamente all'affinità del motivo, non dell'esito, diverso a livello di forma e di contenuto. Prendono una certa rilevanza a questo proposito le muuashaḥàt che hanno insito il culto del "soffrire per amore", topico nella tradizione poetica araba. Il filone dell'amor cortese invece è una specie di codice poetico e civile strettamente legato al triangolo della dama, il Signore e il poeta/cavaliere. Sia per l'amore cortese sia per l'amore onesto – chiameremmo così il Ghazal Afìf – si tratta in partenza di un sentimento destinato non necessariamente ad essere ricambiato, sia pure per motivi fondamentalmente diversi. A livello di forma, il racconto delle sofferenze d'amore da lontano, più tendenzialmente narrativo nella poesia trobadorica, è spesso contaminato con motivi encomiastici in quella araba. Sin dalle origini, il percorso amoroso nella tradizione araba concede grandi spazi alla contemplazione. Si ricordano al riguardo poemi di Imru' Al-Qays (500-540) e 'Antarah Ibn Shadàd (525-608), mentre nella lirica provenzale si trovano spazi per effusioni sentimentali più espliciti. Ne sono gran prova alcune liriche di Guglielmo IX d'Aquitania (1071-1027), considerato il precursore dell'amore de lonh, anche se fu paradossalmente autore di componimenti con corteggiamenti un po' troppo espliciti. Il che comunque va in linea con il racconto biografico della sua vida come uomo di vizi. Componimenti del genere risulterebbero assolutamente estranei al Ghazal Afìf dei poeti arabi tradizionali. Cambia il discorso però quando si parla di poeti andalusi che osano esprimere le proprie effusioni amorose con più audacia e varietà. Certo che l'evoluzione della poesia araba in epoca andalusa e la sua conseguente interazione con la poesia romanza è un argomento vastissimo che supera i limiti di spazio qui concessi ma volendo riassumere in modo molto rapido i punti di maggior interesse esistenti nella poesia arabo-andalusa e riscontrabili in quella trobadorica potrebbero essere così individuati: l'uso della rima nonché di armonie giocate sulla sonorità; l'attacco rivolto ai "compagni"; raccontare la propria sofferenza per un amore non ricambiato; tacere il nome dell'amata o criptarli con lingue straniere; in fine, usare le lingue straniere specie nella chiosa.

 

Conclusioni

   Dopo questa brevissima carrellata fra Il collare della colomba e La vita nuova, entrambe opere di gran rilievo delle rispettive tradizioni amorose, possiamo trarre le seguenti conclusioni:    

-        Entrambi Dante e Hazm, avendo una grande esperienza politica e di formazione religiosa fecero la stessa scelta, quale di parlare di un argomento della vita di ciascuno di noi, del sentimento che lega due anime nel tentativo di istituire un umanesimo a modo loro al di là dei confini recisi delle discipline, un sentimento umano potrebbe conciliare - nel caso di Hazm anche provocare – visioni e interessi, delle volte, contrastanti dei fruitori del testo. Accomuna le due esperienze l'età giovanile degli autori al tempo della composizione: 28 anni Hazm, 30 Dante.

-        Entrambe le opere, composte sotto forma di prosimetro, hanno segnato come contenuto e come forma un momento di svolta nelle rispettive tradizioni poetiche. La Vita nova costituisce una svolta nel modo di cantare ed insieme, e soprattutto, narrare l'amore. Stefano Carrai è chiaro: “Se Dante non avesse scritto, negli anni della maturità, quello straordinario poema che è la Commedia, sarebbe rimasto comunque nella storia della letteratura italiana ed europea grazie al capolavoro della sua giovinezza, la Vita nova.”[lxxi]. Non sarebbe azzardato affermare che il Collare rappresenti una novità nel modo di trattare l'argomento amoroso nella trattatistica araba. La novità fu introdotta da Dante anche al livello del titolo che su un ulteriore piano di interpretazione potrebbe essere inteso come senhal di una nuova fase dello stesso argomento del libro. Hazm fece una scelta che lo distanzia dall'intitolazione diretta ma che forse risulta più romantica di quella di Dante nonostante l'impostazione di questi risulti decisamente quella più creativa in una struttura ben organica che si presta a restituire il ritratto di un percorso ideologico e sentimentale legando le liriche dell'autore in un'organica cornice di prosa.

-        Decisamente fondamentale sottolineare il legame fra le liriche di Dante come impalcatura del 'libello' rispetto ai singoli versi o strofe con cui Hazm si limita a commentare o documentare gli episodi riportati nella sua epistola la cui organicità risulta frutto dell'argomento unico piuttosto che dai versi citati.

-        Quanto allo sfondo teologico delle due opere, esso si manifesta in modo diretto nell'epistola del faqìh andaluso mentre la componente mistica in Dante viene plasmata come ingrediente della materia del libro nonché della genesi della figura della Gentilissima attorno alla quale ruota tutta la vicenda narrata. Potremmo dire che la Vita nova è l'esito di uno scrittore fedele al messaggio della religione quando si mette all'opera letteraria, mentre il Collare potrebbe essere definito come il frutto di una riflessione socio-culturale di un teologo appassionato di poesia che espone i propri pensieri piuttosto che criptarle in allegorie.

 



[i] Franca Sinopoli in Armando Gnisci e Franca Sinopoli, Manuale storico di letteratura comparata, Roma, Meltemi, 2004, p. 26 

[ii] D'ora in poi indicato come Hazm per comodità del lettore.

[iii]  الطاهر أحمد مکي، "دراسات عن ابن حزم وکتابه "طوق الحمامة"، القاهرة، دار المعارف، الطبعة الثالثة 1981، ص. 75

[iv]  السابق، ص. 77

[v] Mariateresa Bocca, Prosimetrum, Milano, Atelier Edizioni, 2016, p.61

[vi]  أحمد زکي صفوت، "جمهرة خطب العرب في عصور العربية المزدهرة"، بيروت، المکتبة العلمية، 1977، ص. 124

 [vii] ابن حزم القرطبي، "طوق الحمامة في الألفة والألاف"، لبنان، دار الأرقم ابن أبي الأرقم، 2016، ص. 9

[viii] عباس بن يحيى، استراتيجية ابن حزم في طوق الحمامة: مقاربة نصية، "مجلة الدراسات اللغوية والأدبية"، العدد الأول، جامعة المسيلة بالجزائر، ص. 18

[ix]  السابق، ص. 17

 [x] ابن حزم، ص.38

[xi]  السابق، ص.39

[xii] Roberto Antonelli, Introduzione a F. Petrarca, Canzoniere, Testo critico e saggio di G. Contini, Note di D. Ponchiroli, Torino, Einaudi, 1992, p. IX

[xiii] Stefano Carrai, prefazione a Dante Alighieri, La vita nuova, Milano, BUR, 2009, p. 5

[xiv] Maria Corti, Percorsi dell’invenzione. Il linguaggio poetico e Dante, Torino, Einaudi, 1993, p. 41

[xv] Stefano Carrai, pp. 8-9

[xvi]  سيزا قاسم، "طوق الحمامة لابن حزم الأندلسي: تحليل ومقارنة"، القاهرة، المجلس الأعلى للثقافة، 2014، ص. 256-268

[xvii]  ابن حزم، ص. 42

[xviii]  السابق نفسه

[xix]  السابق نفسه

[xx] Dante Alighieri, La vita nuova, a cura di Stefano Carrai, Milano, BUR, 2009, p. 117

[xxi] Ivi, p. 149

[xxii] Ibidem

[xxiii] Ivi, p. 150, nota 23.3

[xxiv] ابن حزم، ص.38

[xxv] Dante Alighieri, p. 43

[xxvi] Cfr. Ibidem, nota 1.5

[xxvii] Ivi, p. 45 1.13

[xxviii] Ibidem, nota 1.13

[xxix] Ivi, p. 46, nota 1.14

[xxx] Ivi, p. 50

[xxxi] Ivi, p. 53

[xxxii] Ivi, p. 86

[xxxiii] Ivi, p. 87

[xxxiv] Ivi, p. 108 nota 14.5

[xxxv] Ivi, p. 109 nota 14.7

[xxxvi] Ivi, p. 127, nota 17.2

[xxxvii] Ivi, p. 126, nota 17.1

[xxxviii] Ivi, p. 121

[xxxix] Ivi, p. 122

[xl] Ibidem

[xli] Ivi, p. 124

[xlii] Ivi, p. 125

[xliii]  الطاهر أحمد مکي، ص. 147

[xliv]  السابق، ص. 148

[xlv] Per maggior approfondimento sulla scoperta, classifica e storia critica delle khargiàt romanze, si veda Alan Jones, Romance Kharjas in Andalusian Arabic Muwaššaḥ Poetry: a Paleographical Analysis, Ithaca Press for the Board of the Faculty of Oriental Studies, Oxford University, 1988 nonché Laura Minervini, La poesia ispano-araba e la tradizione lirica romanza. Una questione aperta in "Lo spazio letterario del Medioevo, 3. Le culture circostanti", Vol. II, "La cultura arabo-islamica", Edizione di M. Capaldo, F. Cardini, G. Cavallo e B. Scarcia Amoretti, Roma, Salerno Editrice, 2003, pp. 705-723     

[xlvi]  ابن حزم، ص. 9

[xlvii]  السابق، ص. 27

[xlviii]  ابن حزم، "الفصل في الملل والأهواء والنحل"، مصر، مطبعة محمد على صبيح، 1929، ج2، ص. 122

[xlix]  سيزا قاسم، ص. 356     

[l]  السابق، ص. 353

[li]  ابن حزم، "طوق الحمامة"، ص. 167

[lii] Riccardo Viel, Fonti galloromanze del Dante minore: nuove prospettive, in Sulle tracce del Dante minore: prospettive di ricerca per lo studio delle fonti dantesche, a cura di Thomas Persico e Riccardo Viel, «Quaderni di atti e studi», Bergamo, Sestante Edizioni, 2019, p. 116

[liii] Marwa Fawzy, Tracce arabe nella poesia italiana del Duecento, in Atti del Convegno Internazionale "La lingua, il ponte fra le culture" 3-5 Marzo 2020, Facoltà di Lingue a Luxor, Egitto (in corso di stampa). 

[liv] روحي الخالدي، "تاريخ علم الأدب بين الإفرنج والعرب وفيکتور هوجو"، تقديم الدکتور حسام الخطيب، مصر، مطابع الفجالة، 1912، ص. 97

[lv] Non è questa la sede per indagare la questione di possibili fonti arabe della Divina commedia, ma troviamo interessante la comparazione in relazione all'argomento del presente studio poiché il testo dantesco è venuto interamente in versi mentre quello del Ma'arry fu un prosimetro.  

[lvi] روحي الخالدي، ص. 97

[lvii] Dante Alighieri, p. 16

[lviii]  روحي الخالدي، ص. 97

[lix]  ابن حزم، "طوق الحمامة"، ص. 31

[lx]  سحر فتحي، "أعمال أدبية أندلسية مهدت الطريق إلى القص العربي الحديث: طوق الحمامة – التوابع والزوابع – حي بن يقظان"، Arabic and World Literature: Comparative and Multidisciplinary Perspectives, Andromeda Publishing and Academic Services, London,  ، ص. 5

[lxi]  روحي الخالدي، ص. 126-127

 [lxii] محمد عباسة، "الموشحات والأزجال الأندلسية وأثرها في شعر التروبادور"، الجزائر، دار أم الکتاب للنشر والتوزيع، 2012، ص. 18

[lxiii]  "سعيد بن جودي السعدي الإلبيري الأندلسي: سيرته ومجموع شعره"، إعداد محمد رضوان الداية، صنعاء، دار الفکر المعاصر،1997، ص. 60     

[lxiv] Traduzione mia

[lxv]  ابن حزم، "طوق الحمامة"، ص. 27

[lxvi]  السابق نفسه

[lxvii]  السابق، ، ص. 28

[lxviii]  السابق نفسه

[lxix]  السابق، ص. 27

[lxx]  صحيح البخاري، 4779

[lxxi] Stefano Carrai, p. 5

Opere degli autori
-        ابن حزم القرطبي، "الفصل في الملل والأهواء والنحل"، مصر، مطبعة محمد على صبيح، 1929
-        نفس المؤلف، "طوق الحمامة في الألفة والألاف"، لبنان، دار الأرقم ابن أبي الأرقم، 2016
-        Alighieri, Dante, La vita nuova, riscontrata su codici e stampe, preceduta da uno studio su Beatrice e seguita da illustrazioni, per cura di Alessandro D'Ancona, Pisa, Tipografia Fratelli Nistri, 1872 
-        Id., La vita nuova. Ridotta a miglior lezione, preceduta da uno studio critico e seguita da note illustrative di Attilio Luciani, Roma, Eredi Botta, 1883
-        Id., La vita nuova, a cura di Stefano Carrai, Milano, BUR, 2009
 
Libri
-        Amaldi, Daniela, Storia della letteratura araba classica, Milano, Zanichelli, 2004
-        Antonelli, Roberto, Introduzione a F. Petrarca, Canzoniere, Testo critico e saggio di G. Contini, Note di D. Ponchiroli, Torino, Einaudi, 1992
-        Arteaga, Stefano, Dell'influenza degli arabi sull'origine della poesia moderna in Europa, Roma, Pagliarini, 1791
-        Bocca, Mariateresa, Prosimetrum, Milano, Atelier Edizioni, 2016
-        Campanini, Massimo, Dante e l’Islam, l’empireo delle luci, Roma, Studium Edizioni, 2019  
-        Caputo, Rino (a cura di), Il pane orzato. Saggi di lettura intorno all'opera di Dante Alighieri, Roma, Euroma La Goliardica, 2003
-        Corti, Maria, Percorsi dell’invenzione. Il linguaggio poetico e Dante, Torino, Einaudi, 1993
-        Gnisci, Armando e Sinopoli, Franca, Manuale storico di letteratura comparata, Roma, Meltemi, 2004
-        Gorni, Guglielmo, «Vita nuova» di Dante Alighieri, Torino, Einaudi, 1992     
-        Jones, Alan, Romance Kharjas in Andalusian Arabic Muwaššaḥ Poetry: a Paleographical Analysis, Ithaca Press for the Board of the Faculty of Oriental Studies, Oxford University, 1988
-        Le Goff, Jacques, Il cielo sceso in terra: le radici medievali dell'Europa, Roma-Bari, Laterza, 2013
-        Morrou, Henri-Rénée, I trovatori, Presentazione e traduzione di Anna Maria Finoli, Jaca Book, 1994
-        Quadrio, Francesco Saverio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, Vol. II., Milano, Francesco Agnelli, 1741
 
Atti di Convegni
-        AA. VV., Atti dei Convegni Lincei, 273, Convegno Internazionale "Aurelio Roncaglia e la filologia romanza", Roma 8 marzo 2012
-        Fawzy, Marwa, Tracce arabe nella poesia italiana del Duecento, in Atti del Convegno Internazionale, "La lingua, il ponte fra le culture" 3-5 Marzo 2020, Facoltà di Lingue a Luxor, Egitto (in corso di stampa). 
 
Riviste
-        Celli, Andrea, Una cortesia mediterranea tra Cordova e Firenze? "Il collare della colomba" di Ibn Hazm e "La Vita nuova" di Dante in «Quaderni di Studi Indo-Mediterranei, IX (2016) «Sguardi su Dante da Oriente», pp. 55-73  
-        Grimaldi, Marco, Come funziona una poesia allegorica. Una lettura di Tre donne, «Critica del testo» XV/1, 2012, pp. 299-322
-        Mandalà, Giuseppe, Figlia d'al-Andalus! Due gazìra a confronto, Sicilia e al-Andalus, nelle fonti arabo-islamiche del Medioevo, «Le forme e la storia», V, 2012, 2, pp. 43-54
-        Minervini, Laura, La poesia ispano-araba e la tradizione lirica romanza. Una questione aperta in "Lo spazio letterario del Medioevo, 3. Le culture circostanti", Vol. II, "La cultura arabo-islamica", Edizione di M. Capaldo, F. Cardini, G. Cavallo e B. Scarcia Amoretti, Roma, Salerno Editrice, 2003, pp. 705-723    
-        Resconi, Stefano, Note sulla sezione iniziale del canzoniere provenzale P, «Critica del testo», XII/1, 2009, pp. 203-237
-        Id., La lirica trobadorica nella Toscana del Duecento, «Carte romanze», 2/2 (2014), pp. 269-300
-        Id., Sulla contaminazione in ambito trobadorico: fenomenologia e implicazioni testuali, «Critica del testo», XVII / 3, 2014, pp. 201-227
-        Viel, Riccardo, Fonti galloromanze del Dante minore: nuove prospettive, in "Sulle tracce del Dante minore: prospettive di ricerca per lo studio delle fonti dantesche", a cura di Thomas Persico e Riccardo Viel, «Quaderni di atti e studi», Bergamo, Sestante Edizioni, 2019, pp. 111-139
 
المراجع العربية
کتب
-        الأصبهاني، أبي بکر محمد بن داود، "الزهرة"، تقديم الدکتور إبراهيم السامرائي، الأردن، مکتبة المنار، الطبعة الثانية، 1985
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-        الخالدي، روحي، "تاريخ علم الأدب بين الإفرنج والعرب وفيکتور هوجو"، تقديم الدکتور حسام الخطيب، مصر، مطابع الفجالة، 1912
-        الداية، محمد رضوان، "سعيد بن جودي السعدي الإلبيري الأندلسي: سيرته ومجموع شعره"، صنعاء، دار الفکر المعاصر، 1997
-        شعرانة، منصف، "ظاهرة الحب في الفکر العربي الإسلامي: نماذج مختارة"، تونس، مرکز النشر الجامعي، 2002
-        صفوت، أحمد زکي، "جمهرة خطب العرب في عصور العربية المزدهرة"، بيروت، المکتبة العلمية، 1977
-        عباسة، محمد، "الموشحات والأزجال الأندلسية وأثرها في شعر التروبادور"، الجزائر، دار أم الکتاب للنشر والتوزيع، 2012
-        عفيفي، محمد الصادق، "الحب ومذاهبه النفسية والجمالية من خلال طوق الحمامة لابن حزم"، الدار البيضاء، مکتبة الوحدة العربية، 1972
-        قاسم، سيزا، "طوق الحمامة لابن حزم الأندلسي: تحليل ومقارنة"، القاهرة، المجلس الأعلى للثقافة، 2014
-        مکي، الطاهر أحمد، "دراسات عن ابن حزم وکتابه "طوق الحمامة"، القاهرة، دار المعارف، الطبعة الثالثة، 1981
 
دوريات ومجلات
-        بن يحيى، عباس، استراتيجية ابن حزم في طوق الحمامة: مقاربة نصية، "مجلة الدراسات اللغوية والأدبية"، العدد الأول، جامعة المسيلة بالجزائر
-        فتحي، سحر، "أعمال أدبية أندلسية مهدت الطريق إلى القص العربي الحديث: طوق الحمامة – التوابع والزوابع – حي بن يقظان"، Arabic and World Literature: Comparative ,London and Multidisciplinary Perspectives, Andromeda Publishing and Academic Services, Vol. I, Issue 1 (2020)
-        مکي، محمود علي، "عبد العزيز الأهواني والتراث"، مجلة فصول، الهيئة العامة للکتاب، القاهرة، المجلد الأول، العدد 1، 1980.